Considerare la città come un organismo capace di crescere su se stesso e di rigenerarsi secondo un modello ciclico appartiene alla storia più antica, alle origini della città stessa. Una modalità particolarmente attuale se considerata nell’ambito di strategie di pianificazione e gestione dell’ambiente costruito sostenibili. L’attività edilizia, come è noto, produce i maggiori danni all’ambiente in tutte le sue fasi, da quella di predisposizione di materiali e componenti a quella di cantiere, per finire a quella di utilizzo del manufatto. Gli interventi selezionati in questo numero offrono un’ampia casistica di situazioni nelle quali i principi del riciclo non solo sono applicabili a edifici, aree degradate o a intere porzioni di paesaggio, ma dimostrano di poter innescare processi di rigenerazione estesi al più ampio contesto circostante. Inoltre, all’interno di questa logica, il progettista assume un ruolo determinante nell’azione di controllo delle diverse fasi, dalla programmazione alla progettazione, dalla realizzazione alla gestione, dovendo garantire un processo virtuoso capace di ridurre al minimo consumi di energia, inquinamento, impiego e sprechi di materie prime, prevedendo il riuso e predisponendo il manufatto ad altre possibili vite future. Ruolo tanto più efficace se sostenuto da un modello olistico e da un approccio progettuale integrato capace di coordinare le diverse filiere del processo indirizzandone gli esiti verso un uso efficiente delle risorse e riducendo i danni causati all’ambiente. Il People’s Pavilion, una struttura di servizio temporanea costruita nel centro urbano di Eindhoven, è in questo senso emblematico; oltre a riutilizzare una notevole quantità di materiali plastici di scarto, è esito di un iter progettuale innovativo, basato su componenti e materie prime seconde che nell’oggetto finale assumono un valore maggiore di quello originario, ben esemplificando così il concetto di progetto di architettura circolare. Riutilizzare edifici esistenti ancora in buono stato anziché demolirli per ospitare funzioni diverse da quelle precedenti, riattivare spazi urbani abbandonati per rivitalizzare quartieri dal punto di vista sociale ed economico costituiscono pratiche ormai molto diffuse nelle città europee, guidate da politiche di trasformazione orientate a costruire sul costruito anziché a occupare nuove porzioni di suolo libero. Situazioni sempre più frequenti che pongono i progettisti di fronte a nuove sfide, molto stimolanti sul piano creativo e che offrono importanti occasioni per dare nuova vita e nuovi significati a manufatti obsoleti. Basti pensare all’intervento che ha trasformato un’infrastruttura in disuso della stazione centrale di Milano, destinata allo stoccaggio delle merci e allo smistamento postale, nel nuovo Memoriale della Shoah, un luogo dove la strategia del ripristino adottata dai progettisti si è mostrata vincente tanto sul piano della qualità spaziale complessiva dell’intervento che su quello simbolico.
PRATICHE DI RICICLO TRA ECOLOGIA E RIGENERAZIONE – Pag. 4
Paola Guarini
RICICLARE PAESAGGI: DA RIFIUTO A RISORSA – Pag. 12
Vincenzo Gioffrè
RECYCLING OR RECLAIMING? DAL PARADIGMA ECOLOGICO ALLE SPERIMENTAZIONI PROGETTUALI DI TRANSIZIONE – Pag. 21
Consuelo Nava
La Stazione Centrale di Milano, inaugurata nel 1931, fu pensata per ospitare, al di sotto del livello pubblico rialzato, un’area di servizio pressoché impercettibile, destinata al carico, scarico e stoccaggio di merci. La porzione centrale di questo piano, destinata ai servizi postali e con un’area di circa 35.000 metri quadri, era occupata da 24 binari paralleli collegati tra loro da traslatori; alcuni monta-vagoni permettevano lo spostamento verticale dei convogli, dai binari del livello superiore verso quelli di servizio e viceversa. Questo ventre meccanizzato e abbandonato è stato trasformato in luogo della memoria, quando RFI-Rete Ferroviaria Italiana ha affidato a Fondazione Memoriale della Shoah di Milano Onlus una porzione di questi spazi. Come Morpurgo e de Curtis sottolineano, “esiste una rete di connessioni implicita che lega per sempre questa architettura-infrastruttura alla geografia delle deportazioni europee.”
La funzionale macchina dell’area di manovra postale, invisibile ed estranea alla vita della città benché a essa strettamente connessa, si trasformò infatti, tra il 1943 e il 1945, in un congegno per la deportazione di ebrei e oppositori politici verso i campi di concentramento.
Una ex cartiera del XVIII secolo, andata distrutta e ricostruita nel 1869 da Gustave Eiffel, ospita il nuovo hub di una multinazionale leader nel settore della produzione di materiali innovativi. Il progetto sviluppa all’interno di questo grande invaso un ambiente fluido in cui spazi specializzati si alternano ad aree modulabili e in cui i percorsi si fondono con gli ambiti di lavoro. Elemento principale è la grande piazza, definita da una gradonata che collega i due livelli dell’edificio. Al secondo livello del grande invaso, coperto con le esili capriate metalliche e inondato dalla luce naturale, le balconate di affaccio sul piano inferiore si dilatano definendo ambiti flessibili in cui poter organizzare momenti di lavoro condiviso, eventi, presentazioni. Il progetto riesce a mantenere il valore fortemente caratterizzante della struttura di Eiffel, senza inficiarne la lettura. All’intervento non manca un tocco giocoso: uno scivolo a misura di adulto corre parallelo alla piazza interna e collega i due livelli dell’edificio.
I progetti di recupero portati a termine a Burgos e a València hanno in comune il riuso di edifici legati al trasporto ferroviario ma soprattutto il ricorso a pochi elementi inseriti nell’esistente dal ruolo strategico e dal linguaggio asciutto. L’intervento a Burgos ha previsto il recupero dell’antica Stazione Ferroviaria di inizio ‘900 al fine di trasformarla in un centro polivalente di svago destinato ai giovani, rinnovando inoltre l’antistante spazio verde, l’ex Cortile dei Viaggiatori. L’intervento di riuso ha recuperato le spazialità originarie inserendo nell’esistente un sistema di volumi e percorsi. Secondo le stesse logiche di ottimizzazione degli elementi inseriti e di felice contrasto tra nuove attrezzature e muratura antica, i progettisti hanno trasformato, nel Parc Central di València, il Padiglione 3 dell’ex complesso ferroviario in uno spazio destinato ad attività espositive e di spettacolo. Entrambi i progetti contribuiscono al recupero di edifici dismessi, all’interno di un programma di rigenerazione urbana più ampio, collaborando alla trasformazione di brani di città e perseguendo l’obiettivo di mantenere la memoria dei luoghi e la suggestione delle antiche strutture ferroviarie.
Con il progetto per lo Zeitz MOCAA, Heatherwick Studio ha accolto e vinto la sfida di ripensare una rigida e monumentale struttura industriale, realizzata negli anni ’20 e dismessa nel 1990. Il progetto ha letteralmente ritagliato gli spazi all’interno del sistema di silos cilindrici esistenti, ricavando forme inedite da una struttura quasi monolitica. L’intervento più suggestivo è certamente quello con cui è stato ricavato lo spazio dell’atrio utilizzando la sagoma del chicco di mais, scalata fino a 27 metri di altezza, come matrice formale dell’operazione di scavo, e riportata mediante tecniche digitali sui silos. La profonda rigenerazione formale e spaziale innescata nel Grain Silo Complex appare in linea con le istanze di rigenerazione espresse dalla zona portuale di Città del Capo e il progetto, reso possibile anche grazie al ricorso a tecnologie innovative di rilievo e consolidamento strutturale, ben si integra nel contesto di trasformazione culturale di cui è diventato uno degli elementi simbolici.
Riconosciuto come una pietra miliare nella progettazione circolare, il People’s Pavilion rappresenta una sperimentazione d’avanguardia che ha dato vita a un edificio rispondente a logiche di circolarità al 100%. Creato in occasione della Dutch Design Week del 2017, non solo recupera una notevole quantità di rifiuti plastici, ma non compromette in maniera irreversibile nessun materiale da costruzione in fase di cantiere e nessuna risorsa viene portata a discarica dopo la dismissione. Il People’s Pavilion si pone l’obiettivo di fornire una traiettoria per il settore delle costruzioni sulla gestione e sulle scelte sostenibili di materiali provenienti da processi virtuosi e su come gli stessi realizzino beni e servizi per un “progetto circolare”. Il padiglione vuole fondare un cambio nel pensiero architettonico, orientato verso un modello capace di azzerare l’impatto ambientale dell’industria delle costruzioni, già in fase progettuale, con scelte mirate e radicali.
La nuova biblioteca pubblica di Tilburg è il frutto di un audace intervento di riuso di un ex hangar delle locomotive. Il progetto si struttura attorno alla logica di conservazione delle atmosfere e spazialità della vecchia sala delle locomotive, instaurando un rapporto sinergico tra i nuovi innesti e gli esistenti elementi costruttivi, testimoni del passato industriale degli spazi. L’intervento definisce un sistema di piani a tre differenti quote che si fondono tra loro attraverso una serie di scale e spalti gradonati; la spazialità che ne scaturisce conserva la percezione della grande copertura lasciando inalterate le originali proporzioni dello spazio.
La complessità degli spazi è mutata dalla presenza di sei schermi tessili di imponenti dimensioni che scorrono su appositi binari adiacenti alla copertura, accogliendo performance artistiche, conferenze o spazi in generale che necessitano di un grado di riservatezza maggiore rispetto allo spazio pubblico.
L’intervento si configura come mix tra nuova edificazione, riqualificazione dell’esistente e disegno dello spazio pubblico. I due volumi di nuova costruzione sono rivestiti da una superficie in elementi ceramici policromi, che appare ritagliata in corrispondenza delle bucature e dei varchi di ingresso, lasciando emergere la struttura in cemento a vista. La componente di riuso è rappresentata dall’intervento sull’ex Convento di Santa Maria delle Grazie, edificio cinquecentesco restaurato per ospitare un polo di retail, ristorazione di eccellenza, spazi per eventi, per innescare flussi di reciproca valorizzazione con l’annesso polo museale. A tal fine, gli spazi al piano terra sono stati immaginati come una vetrina aperta al pubblico e il chiostro è stato dotato di una copertura per agevolare la fruizione dei servizi e poter ospitare eventi. Il progetto per l’M9 riesce a ridisegnare un brano di città tracciando, attraverso edifici ex novo e restaurati, percorsi di fruizione e valorizzazione urbana.
Il progetto intende potenziare le funzioni economiche di un edificio preesistente di ventiquattro piani e far sì che la città possa arricchirsi di un nuovo spazio dedicato alla cultura. Dal punto di vista della spazialità il risultato ha premiato l’originale decisione per cui la circolazione verticale, che già consentiva un’esplorazione visiva totale di due atrii pubblici, si arricchisse di punti di vista inaspettati. La sottolineata tensione verticale è amplificata dai flussi dei clienti dell’edificio ma anche da un grande oculo centrale luminoso che catalizza queste forze in una costante dinamica dal basso verso l’alto. Il progetto apre a riflessioni interessanti sulla possibilità di trovare un compromesso tra necessità economiche del committente privato e interesse pubblico; di realizzare una sapiente integrazione di ambienti che siano in grado di divenire un’estensione della città e di creare soglie porose tra interno ed esterno che diventino nel tempo catalizzatori significanti della memoria dei luoghi.
Il progetto per la Azatlyk Square rientra in un piano strategico che punta a migliorare le condizioni di vita nelle città russe e vede il coinvolgimento di enti pubblici e privati. La piazza prende avvio da uno spazio precedentemente pensato e mai realizzato. Quest’ultimo era attraversato da un grande asse orizzontale che avrebbe dovuto connettere l’edificio della municipalità con il museo di Lenin e divenire uno dei maggiori punti nevralgici di attrazione e svago per i cittadini. Il vecchio asse, completamente irriconoscibile, viene spostato sul confine inferiore del lotto, il cui centro viene organizzato secondo una serie di “stanze” pensate per ospitare diverse funzioni e usi. Il nuovo centro, liberato, è trasformato in un vero e proprio tappeto urbano dove il susseguirsi di tre piazze, assieme a iniezioni di colore negli arredi e nelle essenze che danno nuova vita al grigiore dello spazio urbano adiacente, configurano aree flessibili e multifunzionali.
Tainan Spring è il progetto di riciclo di un centro commerciale, costruito nel 1983 e poco utilizzato a seguito dell’affermarsi degli acquisti online, motivo per cui l’amministrazione ha deciso di riconvertirne l’area. La strategia adottata tenta di recuperare la risorsa che caratterizzava il sito, ovvero la presenza dell’acqua: dal XVII secolo, infatti, la rete idrica di Tainan è stata importante per lo sviluppo dell’industria marittima e per la pesca. Il progetto si configura come un paesaggio sospeso tra memoria del passato e desiderio di consegnare alla comunità un nuovo habitat urbano, attraverso uno spazio costruito secondo principi di economia circolare, in grado di estendere il ciclo di vita delle preesistenze. Il volume del centro commerciale è stato invertito in un vuoto e il piano sotterraneo è la nuova quota urbana della piazza che, abbassandosi rispetto il livello stradale, definisce uno spazio protetto.
ARGOMENTI
– L’ingegneria del Tevere a Roma: i muraglioni e il ponte alla Magliana – Pag. 114
– L’installazione temporanea “Radura della Memoria” nel futuro Parco del Polcevera a Genova – Pag. 120
LIBRI – Pag. 124
NOTIZIE – Pag. 126
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