Ogni città che al momento si consideri o aspiri ad essere competitiva a scala internazionale non manca di interventi che individuano nella densificazione il loro obiettivo. Un fenomeno che sta investendo molte delle comunità nelle diverse aree geografiche del mondo con politiche di sviluppo urbano che, di fronte alla domanda pressante di nuove abitazioni, sembrano dettate più da logiche economiche e speculative che non da principi di sostenibilità ambientale e soprattutto sociale. Lo dimostrano da un lato la preferenza per un tipo di edificazione sviluppata in altezza, dall’altro la perdita di centralità dell’individuo con la propria sfera emozionale, ridotto a mero utente di un’offerta abitativa che sia nella versione lusso che in quella economica propone soluzioni standardizzate rispondenti a logiche di mercato che non lasciano molto margine né alle aspettative dell’abitante né alla ricerca del progettista. La selezione di progetti presentata in questo numero, rivolta a una produzione di alto livello architettonico, restituisce uno spaccato parziale ma significativo di questa tendenza in atto. Non bastano però gli exploit formali, seppure di grande interesse, dovuti ai progettisti, tutti di riconosciuta fama e capaci quindi di aggirare con abilità e inventiva i numerosi e stringenti vincoli causati dall’eccessiva concentrazione di persone e cose in un unico organismo, a convincere che questa sia la strada giusta da seguire. Sono diversi gli interrogativi e le questioni che si aprono a un più ampio e costruttivo dibattito sui temi dell’abitare e della densificazione urbana, che, oggi, considerati nel contesto dell’emergenza pandemia in corso, si arricchiscono di ulteriori e importanti motivi di riflessione. I tre saggi introduttivi, mettendo in discussione le attuali tendenze, si fanno promotori di strategie di trasformazione alternative, replicabili anche in contesti diversi da quello europeo a cui si riferiscono. La densità intesa come parametro qualitativo e non meramente quantitativo si può allora materializzare nell’isolato residenziale di misura conforme, elemento generatore di una nuova urbanità all’interno della città consolidata (L. Reale, p.13), così come densificare la città esistente non vuol dire necessariamente produrre incrementi di volume costruito. Si può, infatti, rispondere ai bisogni abitativi emergenti adottando approcci socialmente sostenibili che intervengono sul patrimonio esistente sottoutilizzato, riorganizzandolo e aumentando il numero dei suoi fruitori (M. Peverini, F. Rotondo, P. Savoldi, p. 24). Infine, opponendosi alle egemonie culturali e a qualsiasi tendenza all’omogenizzazione, il contro-progetto della Metropoli Orizzontale mette in crisi la “buona forma” della città, la sua supposta corretta densità o struttura spaziale (P. Viganò, p. 4).
ABITARE PAESI, CITTÀ E METROPOLI ORIZZONTALI – Pag. 4
Paola Viganò
DALL’ESPANSIONE ALLA DENSIFICAZIONE. SCENARI DI PROGETTO TRA CASA E CITTÀ – Pag. 13
Luca Reale
DENSIFICARE ALTRIMENTI: NORME E CONDIZIONI PER UNA TRASFORMAZIONE SOCIALMENTE SOSTENIBILE DEL PATRIMONIO ESISTENTE – Pag. 24
Marco Peverini, Federica Rotondo, Paola Savoldi
Tuttavia, l’inserimento di spazi adibiti a funzioni rivolte alla città, ne afferma allo stesso tempo il valore di ambito pubblico all’interno del tessuto urbano.
La decisione di collocare l’edificio su uno dei margini dell’area di progetto denuncia la ricerca di un rapporto dialogico con lo spazio aperto circostante.
Il disegno planimetrico nasce da alcune linee generatrici che sono quelle che lo legano al fiume, al mare e alla città antica.
Tutto il piano terra, che ospita una galleria d’arte e un ristorante, è rivestito in vetro e si rivolge al pubblico, ponendosi in continuità con la città alla quota dell’attacco al suolo, dove architettura, natura e strada fisicamente si incontrano.
Il complesso di 40 alloggi progettato da Sophie Delhay in un’area semiperiferica di Digione rappresenta, per scala e tipologia, l’elemento di transizione tra la trama di abitazioni unifamiliari che bordano a sud il lotto di progetto e le costruzioni previste da un piano di riqualificazione di cui l’edificio fa parte.
In questo scenario, Sophie Delay ha recentemente completato l’edificio UNITÉ(S).
Il progetto incentra l’organizzazione, l’immagine e il funzionamento dell’edificio a partire dall’unità abitativa.
I singoli appartamenti, e la struttura nel suo complesso, prendono forma dalla giustapposizione di spazi modulari secondo uno schema isotropo privo di gerarchie, eccezioni o variazioni dimensionali.
Ciò che contraddistingue il progetto è una trovata di natura distributiva: una massima limitazione e ottimizzazione di tutti gli elementi connettivi, sia nei singoli appartamenti che nella configurazione generale dell’edificio.
Per opporsi alla logica delle generiche torri dormitorio, gli architetti hanno proposto una soluzione abitativa alternativa attraverso un’interessante ibridazione tipologica che ha portato alla concezione di un grande segno dalla forte identità urbana e architettonica. L’idea di ospitare più di 1000 unità abitative in un unico edificio nasce dalla volontà di realizzare un “villaggio verticale” al cui interno riproporre dinamiche relazionali e sociali tipiche dell’esperienza urbana. Quattro blocchi di risalita verticale consentono l’accesso alle nove ali che ospitano gli alloggi. Diversi percorsi distributivi si diramano infatti da uno stesso elemento servente e sono regolarmente intervallati da logge collettive a doppia o tripla altezza, leggibili in facciata. L’articolazione planimetrica dell’edificio definisce nell’attacco a terra spazi pubblici di diversa natura, la cui reciproca relazione è garantita dalla presenza di ampi portali di attraversamento.
La Innovationen (la prima a essere stata completata nel 2018) e la Helix Tower (ancora in fase di costruzione) si innalzano come “porta” a Nord del centro urbano, la cui iconicità è data dalla localizzazione in un tessuto privo di grandi altezze e dal trattamento tutt’altro che uniforme, riservato solitamente alle forme di densificazione verticale.
Il programma è in prevalenza residenziale, integrato ai livelli più bassi da alcuni servizi ricreativi e commerciali; lo sforzo principale è stato quello di conciliare la varietà degli alloggi con un numero limitato di elementi prefabbricati, rinnovando il modello estetico della torre per appartamenti.
Gli edifici sembrano infatti pile di cubi accatastati e l’accostamento e la sovrapposizione disallineata delle apparenti celle conferiscono all’involucro un insolito movimento tridimensionale, il cui aspetto futuristico viene amplificato dalle superfici vetrate sovradimensionate.
Affacciato su uno spazio verde caratterizzato dalla presenza di una collina boschiva alla periferia di Stoccolma, il complesso residenziale 79&Park completa una lingua di tessuto esistente e cerca una transizione tra costruito e natura.
BIG propone una natura immaginaria che ridisegna lo spazio artificiale attraverso la generazione di un frammento naturale artefatto, destinato a perdurare e forse a replicarsi nella città. Il modulo di base con il quale è costruito l’intero complesso è di 3,60 m per 3,60 m e costituisce una maglia quadrata ruotata di quarantacinque gradi rispetto agli allineamenti del lotto. Alla rotazione delle cellule si combina l’estrusione controllata degli alloggi. Attraverso questi accorgimenti, la scacchiera tridimensionale articola lo spazio interno dell’alloggio, orienta le aperture per garantire il miglior soleggiamento e modula lo spazio dei servizi comuni al piano terra e l’involucro esterno.
L’intervento madrileno occupa un intero isolato di forma trapezoidale su un lieve declivio che viene sfruttato per comporre 5 grandi plateau sui quali vengono disposte le 21 unità abitative, suddivise in 4 tagli compresi tra 94 e 230 mq.
L’intera superficie del lotto è replicata in un grande parcheggio sotterraneo che garantisce un accesso privato e diretto alle singole unità.
Ogni abitazione è differente dalle altre ma tutte rispondono a un principio compositivo univoco: il corpo di fabbrica di forma rettangolare si compone generalmente di due piani fuori terra ed è caratterizzato da un lato corto costante di 5,5 metri.
Il piano terra si affaccia sul lato lungo in un giardino privato che ne duplica la superficie istituendo una stretta relazione con l’interno grazie ad ampie vetrate scorrevoli.
Al secondo piano sono situate le camere da letto e, in alcune tipologie, dei terrazzi ricavati dalla copertura del piano inferiore.
L’area di intervento costituisce il margine nord attraverso cui il denso quartiere di Gundeldinger si relaziona con la principale stazione ferroviaria della città.
Una duplice finalità programmatica ha guidato il progetto: da una parte, la volontà di insediare un ampio numero di persone e funzioni in unico organismo architettonico; dall’altra, la volontà di connotare fortemente il paesaggio urbano segnalando la presenza di un importante luogo di accesso alla città e nodo di scambio.
Il risultato è un oggetto fuori scala rispetto al tessuto circostante, che non esita a dichiarare la propria individualità formale rispetto a un contesto con cui si relaziona per contrasto.
L’eterogeneità delle singole componenti dell’edificio, che si presenta come una sommatoria di volumi impilati, mira alla smaterializzazione dell’imponente massa architettonica e riflette il programma: un edificio ad uso misto i cui differenti volumi ospitano diverse funzioni specifiche.
L’eterogeneità caratterizza il progetto di URBANUS, a nord del Central Business District: un complesso mixed-use che contrasta con i grattacieli adiacenti raggruppando residenze, uffici e servizi in un modello di insediamento orizzontale. Interessanti i gesti architettonici che ricercano legami col contesto: i volumi ai confini del lotto ricalcano le forme della topografia collinare circostante, mentre due percorsi pedonali si diramano dai vertici est ed ovest del sito per oltrepassare gli assi viari sottostanti e collegarlo ai parchi vicini. Quattro le aree funzionali: la zona A del blocco residenziale a nord; la zona B – includente uffici, una struttura ricettiva ed un teatro – ad ovest; la zona C a destinazione direzionale al centro e la zona D con il centro espositivo a sud. L’esperimento di URBANUS spezza la ripetitività linguistica proponendo una densificazione orizzontale che fonde la domesticità, gli spazi pubblici e la rete dei percorsi.
Si tratta di due interventi distinti e confinanti, progettati e realizzati quasi contemporaneamente tra il 2011 e il 2018 per due diversi committenti privati.
L’area è una delle più stratificate e densificate di Milano, davanti ai noti interventi che nell’ultimo decennio hanno ridisegnato lo skyline di Milano.
Entrambi gli interventi riguardano residenze di livello medio-alto.
Nel corpo in linea sagomato di Corte Verde ogni scala serve due/tre appartamenti, basati sullo schema zona-notte e zona-giorno, con un bagno con finestra.
In modo irriverente proprio i bagni e i blocchi-scala sono posizionati nei bow-windows, che nell’edilizia borghese sono invece considerati elementi di pregio.
L’intervento Novetredici consiste in due edifici a torre con il blocco scale-ascensori al centro.
In questo caso la variazione principale dei fronti è affidata alle terrazze in aggetto, che negli ultimi piani diventano invece logge incassate all’interno del volume.
VITTORIO GREGOTTI. LA GRANDE ILLUSIONE – Pag. 112
Valerio Paolo Mosco
ARGOMENTI
– Ricomporre il territorio informale. Strategie per abitare le favelas di San Paolo – Pag. 116
– TECLA. Un habitat eco-sostenibile stampato in 3D in terra cruda- Pag. 122
LIBRI – Pag. 125
NOTIZIE – Pag. 126
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