Gli esempi di architetture raccolte in questo numero della rivista non hanno la pretesa di illustrare la produzione di un continente tanto vasto quanto variegato sotto il profilo geografico, culturale e socio-economico come quello africano, né di assumere un gruppo ristretto di esempi come rappresentativo di una tendenza architettonica dell’Africa contemporanea.
L’idea è quella di sollecitare una più ampia riflessione sulle possibilità che l’architettura ha, oggi, di esprimersi sia in termini di “etica” che di “bellezza” di fronte a scarsità di mezzi economici, a emergenze sociali, ad avversità climatiche. La globalizzazione e la crisi energetica e ambientale hanno portato a cambiamenti inimmaginabili solo venti anni fa, costringendo molti paesi cosiddetti sviluppati a una drastica riduzione della disponibilità di risorse con evidenti ripercussioni sull’uso e la trasformazione del territorio oltre che sui comportamenti e stili di vita.
Quello che interessa degli edifici che abbiamo scelto non è quindi il linguaggio in sé con il quale si esprimono i diversi autori, tra l’altro quasi mai autoctoni rispetto alla localizzazione dell’opera, ma il fatto che queste piccolissime architetture siano l’esito di un processo virtuoso che sa tenere insieme istanze sociali, uso assennato del territorio e dei mezzi disponibili contribuendo anche all’attivazione di una microeconomia locale; l’architettura sembra tornare al proprio significato di opera collettiva mentre i suoi autori di fronte a necessità stringenti riscoprono buon senso e capacità inventive. Imparare dall’Africa, dunque, non certo per imitare progetti e soluzioni non riproducibili, nate in circostanze molto particolari e specifiche, ma per tornare ad interrogarsi su valori, modi e tecniche della disciplina all’epoca della crisi. Numerosi i temi con cui gli interventi illustrati si confrontano e che riescono a dare forza e sostanza al progetto e alla sua realizzazione.
RIFLESSIONI SULL’ARCHITETTURA PER L’AFRICA CONTEMPORANEA – Pag. 4
Benno Albrecht
AFRICA RELOADED – Pag. 10
Leila Bochicchio
Sullo sfondo del paesaggio rigoglioso del Ruanda, l’edificio emerge discreto dalla linea di orizzonte come un monolite, insondabile e compatto. Situato a Nyanza, l’edificio nato da un’iniziativa privata ospita un centro polifunzionale per l’Information Technology. In linea con la tradizione prettamente rurale di quest’area, l’impianto definisce un compound, ovvero un insieme di edifici fisicamente e funzionalmente interrelati e disposti in stretto rapporto con una pertinenza privata all’aperto. Nel caso specifico la rivisitazione di tale tipologia si risolve tramite uno schema in cui gli edifici stessi fungono da elemento di recinzione e distinzione dal dominio pubblico e si raggruppano attorno a una grande piazza centrale privata. Visto dalla strada, rispetto alla quale l’intero impianto risulta sopraelevato su una sorta di podio, l’insieme appare come una fortezza, un ambito chiuso e protetto.
ITHUBA in lingua Zulu significa opportunità ed è la parola scelta per il centro formativo nato nel 2008 in una zona periferica di Johannesburg. La prima fase del programma ha visto la realizzazione di una scuola superiore. Gli edifici di questo liceo sperimentale sono stati progettati all’interno di atelier e workshop dagli studenti di alcune facoltà europee e poi messi in opera dagli stessi, in collaborazione con la collettività locale, l’ONG e i futuri utilizzatori. Nel 2009 è emersa la necessità di implementare il piano didattico e le relative sedi con l’inclusione di una scuola elementare e media nel sito, in continuità e relazione con le strutture già esistenti. L’impianto generale prevede la dislocazione delle nuove classi e delle funzioni accessorie in edifici isolati, che si alternano ad ampi spazi esterni attrezzati; una sorta di riproposizione del tessuto urbano in cui il costruito è intervallato da aree pubbliche e private all’aperto.
La Umubano School è un complesso scolastico in grado di ospitare fino a 300 bambini. Il centro è stato progettato su incarico di una ONG inglese ed è localizzato a Kabeza, quartiere di Kigali, Ruanda. Adagiata sul declivio di una delle colline che disegnano il profilo della città, la scuola s’inserisce nel contesto circostante, senza emergere tra edifici. L’iniziativa di natura privata ha ottenuto il plauso del governo e il consenso da parte degli abitanti, rappresentando un simbolo di sviluppo per il quartiere, sprovvisto di servizi, di luoghi di aggregazione e di punti di riferimento spaziale.L’impianto s’innesta su un pendio attraverso una serie di terrazze a diverse altezze. Ognuna delle cinque terrazze ospita le classi di alunni di una determinata fascia d’età. Tutte le classi dispongono così di una propria area di pertinenza all’aperto.
La clinica pediatrica progettata da Tamassociati per Emergency è situata in un’area periferica della città di Port Sudan, centro strategico poiché unico accesso al mare dell’intera nazione. L’ospedale è il solo avamposto sanitario nella zona in grado di fornire assistenza gratuita alla popolazione urbana che nel corso degli ultimi anni ha subito un’esponenziale e drammatica crescita. La struttura è basata sul modello del recinto; le bucature sull’esterno sono limitate e la composizione si articola secondo un alternarsi di spazi al chiuso introdotti o affiancati da un sistema di corti. Oltre a queste pertinenze, l’impianto comprende una serie di altri spazi esterni, di natura collettiva che costituiscono parte integrante del programma, incarnando la volontà di fare del centro non solo un polo sanitario ma anche un luogo di rivitalizzazione sociale, disponibile al pubblico uso.
Il piccolo edificio prende corpo lungo uno spazio porticato la cui matrice tipologica è la loggia, elemento diffusissimo nelle abitazioni del Burundi e di buona parte dell’Africa sub-sahariana. Questa, nella cultura locale, è il luogo di relazione per eccellenza, porzione della residenza aperta alla comunità e all’incontro. La loggia della biblioteca è deliberatamente sovradimensionata; è spazio di transito e accesso ma anche vero e proprio ambiente autonomo, di sfogo e di espansione della stanza interna che su di essa si affaccia tramite una serie di porte vetrate. La forma e la scansione ritmica dell’edificio hanno ragione d’essere in virtù della tecnologia costruttiva e della scelta di soli materiali localmente reperibili: blocchi CEB e tegole in terracotta prodotti in sito.
Nei pressi della cittadina di Kayonza, in Ruanda, un sito di circa un ettaro ospita il centro per l’accoglienza e la reintegrazione pubblica e lavorativa delle donne sopravvissute a guerre e conflitti. Sharon Davis Design ha progettato un micro-villaggio che integra alcune funzioni proprie di un contesto urbanizzato con le attività dell’agricoltura e dell’allevamento di sussistenza.Lo schema alla base del sistema è l’archetipo del tradizionale agglomerato rurale del Ruanda, in cui una serie di piccoli padiglioni residenziali si radunano tra loro a creare un senso di comunità e collaborazione. Le numerose funzioni del programma sono dislocate in piccoli edifici che animano puntualmente l’ampio sito di progetto, in una continua dicotomia tra spazi costruiti e intervalli all’aperto altrettanto progettati.
Questo complesso abitativo ospita 15 alloggi permanenti per minori, orfani o in difficoltà, in una cittadina costiera del Gibuti. Gli aspetti che hanno condizionato le fattezze dell’opera sono di doppia natura: da un lato le condizioni ambientali, dall’altro le abitudini insediative della popolazione locale, usa a dimorare prevalentemente in spazi aperti. La scelta d’impianto si muove dunque all’interno di uno schema riconducibile al modello della medina la cui configurazione spaziale è scandita dalla ritmica alternanza di costruzioni e spazi aperti. I singoli nuclei abitativi sono tutti forniti degli ambienti e delle dotazioni tipiche di una residenza privata. Stanze doppie o triple ospitano i bambini per un massimo di dieci in ogni appartamento. Un dettagliato studio è stato condotto al fine di ottenere la massima aerazione naturale in tutti gli ambienti interni: le percorrenze esterne fungono da corridoi di ventilazione; su esse le abitazioni si affacciano con aperture di dimensione variabile.
Il progetto del centro di accoglienza per bambini orfani è stato portato a termine da Orkidstudio nella cittadina di Nakuru, in Kenya, situata in un’area rurale in forte espansione. La struttura dell’orfanotrofio si differenzia dalla consuetudine secondo cui questa funzione trova forma nella prassi edilizia africana: distaccandosi dagli ampi locali-dormitorio, in cui un gran numero di ospiti si trovano costretti a condividere un solo ambiente, spesso squallido e anonimo, l’edificio è connotato da un aspetto domestico, da spazi contenuti ma non angusti, da una buona areazione e illuminazione naturale. Nel semplice impianto planimetrico i due corpi di fabbrica che compongono il complesso si fronteggiano. A un’estremità del lotto essi sembrano tenuti insieme dal muro perimetrale, mentre sul versante opposto si discostano gradualmente, a formare un cortile intercluso che poi si apre sul resto del sito.
Il Governo del Malawi ha recentemente intrapreso un’iniziativa per la prevenzione del fenomeno della mortalità neonatale e per parto tra i più alti al mondo, incentivando la costruzione di 130 strutture dove le madri in attesa possano trasferirsi e accedere agevolmente alle cure mediche necessarie. Maas Design Group s’inserisce in questa iniziativa sperimentando un prototipo insediativo. Il villaggio progettato a Kasungu si propone come possibile alternativa agli impianti finanziati e realizzati nell’ambito del programma nazionale. Per favorire e stimolare il temporaneo trasferimento delle donne, il progetto tenta di riprodurre un contesto dal carattere domestico e familiare, frammentando il modello dell’ampio dormitorio condiviso in un’aggregazione di edifici minuti. Un modulo base, composto di tre alloggi, un blocco di servizi e una piccola corte interclusa, genera una composizione a croce che può essere replicata a formare insediamenti più o meno estesi.
Situato in un villaggio rurale nel nord est del paese, il centro per le arti progettato da Toshiko Mori implementa i servizi preesistenti nell’area offrendo alla piccola comunità locale uno spazio polifunzionale e flessibile.Con lo scopo primario di ospitare aree espositive, performative e di laboratorio, l’edificio si propone come terreno comune di scambio tra le dodici differenti tribù presenti sul territorio e mira ad agevolare la condivisione del patrimonio artistico tradizionale come anche la conoscenza di espressioni di altra provenienza. L’edificio prende forma sotto una grande copertura, realizzata in paglia e bambù, la cui immagine e fattura scaturiscono dalla rivisitazione dei tetti a spiovente diffusi nelle costruzioni locali. Gli spazi sottostanti si compongono secondo un susseguirsi di ambienti liberi e flessibili, solo in minima parte contenuti all’interno di un involucro compatto.
L’impianto di progetto, che si adagia su un crinale lievemente scosceso, cerca di rispondere ai requisiti preliminari richiesti: contenimento dei costi e realizzazione di un complesso collettivo volto a un uso condiviso e partecipato degli spazi. Per il rispetto del primo obiettivo tutti i materiali impiegati sono stati reperiti all’interno del Ruanda e quasi tutta la manodopera che ha realizzato la costruzione proveniva dal contesto limitrofo. La pietra locale è stata estratta e impiegata per tutti i lavori di fondazione e per le opere di sistemazione degli spazi esterni. Grossi tagli lapidei compongono i muri di contenimento dei terrazzamenti che regolano i lievi dislivelli del sito e fungono da basamento per i due blocchi gemelli che ospitano le abitazioni. I due corpi di fabbrica, approfittando delle lievi irregolarità altimetriche del lotto, danno vita a una composizione semplice ma al contempo dinamica.
L’impegno dello studio ASA (Active Social Architecture) è incentrato sul valore dell’architettura come mezzo per il miglioramento delle condizioni di vita delle persone, il consolidamento delle comunità e del senso di identità e appartenenza al loro interno. In questo quadro s’inserisce la realizzazione dei centri per lo sviluppo e il sostegno alle famiglie e alla prima infanzia, piano prioritario dell’agenda UNICEF in Ruanda. Non si tratta di un’opera isolata ma di un sistema d’iniziative parallele, localizzate in 14 ambiti distinti del territorio nazionale, attraverso cui si intende dotare i villaggi individuati di strutture di sostegno alle famiglie. Due modelli planimetrici fungono da tipologie base: un sistema a pianta centrale e un impianto ad esse, più aperto e permeabile. All’interno dei due prototipi convivono le classi, la sala polifunzionale, la cucina dimostrativa, il blocco amministrativo e quello dei servizi igienico sanitari.
ARGOMENTI
– Francesco Cellini. Strumenti e tecniche del progetto di architettura – Pag. 100
– Come classico tra i classici: Álvaro Siza in Italia. Due mostre all’Accademia di San Luca – Pag. 106
NOTIZIE – Pag. 112
LIBRI – Pag. 116
PANTOGRAFO – Pag. 117