Ad appena un anno dalla sua inaugurazione, celebrata il 31 gennaio 1977, nel n. 76 del febbraio 1978 de l’industria delle costruzioni veniva pubblicato il Centro d’Arte e di Cultura Georges Pompidou di Renzo Piano e Richard Rogers. Dopo le critiche, i commenti e le interpretazioni più disparate seguite all’apertura del Beaubourg, l’intenzione della rivista era quella di concentrarsi su quegli aspetti del processo progettuale e costruttivo dell’edificio che potessero costituire un modello per altri interventi, lasciando il lettore libero nel giudizio. In quel periodo, in Italia, la cultura architettonica dominante era rivolta in tutt’altra direzione, percorreva la linea di ricerca che sarebbe emersa nella “Strada Novissima” della Biennale di Venezia del 1980 e di cui ancora oggi si sente l’influenza. È nato così quello che Pierluigi Nicolin definì nel 1994 “il caso Renzo Piano”, un architetto che alcuni vedono come l’autentica espressione dell’umanesimo italiano, capace di “una sintesi unica tra architettura, arte e ingegneria”, altri, come la cultura accademica, vedevano come una figura atipica, distante, verso la quale manifestare diffidenza piuttosto che curiosità e voglia di comprensione. In questo contesto, che potremmo definire di esilio, Renzo Piano è diventato l’architetto più famoso e apprezzato nel mondo, con un patrimonio di quasi 100 edifici realizzati, tutti di grande dimensione e di rilevanza pubblica.Con questo numero dedicato alle 5 architetture più recenti dell’architetto genovese, la rivista, che non ha mai smesso di seguire le tappe del suo lavoro e di pubblicarne gli esiti, ha voluto riaffermare con convinzione il valore del contributo di Renzo Piano nella cultura architettonica contemporanea. Dalle sue opere, che non si caratterizzano mai per una cifra stilistica ricorrente e chiaramente riconoscibile, traspaiono una profonda coerenza e rigore nel metodo di lavoro. Il suo approccio alla progettazione mira a risolvere i problemi dell’abitare con la sensibilità e la sapienza dell’artigiano, coniugandoli con la ricerca e la sperimentazione tecnologica, ma senza perdere di vista l’uomo e l’ambiente come protagonisti dell’architettura.
RENZO PIANO BUILDING WORKSHOP. OFFICINA GENOVESE, OFFICINA PARIGINA – Pag. 4
Lorenzo Ciccarelli
L’UOMO CHE PARLA ALLE PIETRE – Pag. 12
Kevin Ramsey
Nel 2009 fu conferito al Renzo Piano Building Workshop il progetto di riqualificazione del comparto di circa 40.000 mq di superficie, compreso tra i bastioni pentagonali di San Giacomo e San Giovanni, focalizzato sul varco di accesso, il City Gate, e il centro civico con il nuovo Parlamento, l’Opera House e i giardini attrezzati, che riconfigureranno l’antico fossato difensivo. Il progetto si focalizza sul varco di accesso, riconfigurato in funzione della pedonalità e del panorama. L’ordito infrastrutturale è predisposto in funzione del nuovo innesto architettonico: il Parlamento e gli uffici annessi. L’intersezione di direttrici spaziali oblique guida Piano in un’architettura composita e sfaccettata, generata da fughe oblique e da pareti inclinate, in accordo con le cortine murarie, con i sinuosi bastioni esterni e i due baluardi cavalieri interni. L’uso della pietra dorata di Gozo si estende a tutte le pavimentazioni esterne e interne, dando vita a una coreografia urbana unitaria e gentile, che pare esistere lì da sempre.
Il Whitney Museum of American Art è un’istituzione la cui storia è scandita da un continuo itinerare per l’isola di Manhattan alla ricerca di spazi espositivi sempre più ampi, ricerca culminata nel maggio del 2015 con l’apertura della nuova sede nel Meatpacking district, progettata dal Renzo Piano Building Workshop. Nel nuovo Whitney Piano rielabora l’idea di continuità urbana tra edificio e contesto che aveva guidato fortemente anche il progetto per l’estensione della sede storica nell’Upper East Side.
Le architetture di Piano sono sistematicamente innervate da spazi collettivi che dal contesto urbano circostante si instradano e innervano all’interno degli ambienti progettati. La piazza così delineata verrà ribattezzata il “largo” e diventerà un dogma progettuale che sostanzierà uno dei nodi fondamentali della proposta architettonica finale. Il Whitney chiede a Piano di progettare uno spazio espositivo che sia corredato da un auditorium, laboratori, spazi educativi e uffici per l’amministrazione, per un totale di 19.500 mq, quasi sei volte l’estensione del lotto. È facile intuire perché il progetto non poteva che crescere verticalmente.
Il grattacielo di Torino realizzato da RPBW e inaugurato nell’aprile 2015, è il risultato di un concorso internazionale, bandito nel 2006 dal gruppo bancario torinese Intesa Sanpaolo, per la direzione generale e gli uffici per un totale di 2000 dipendenti. Il valore rappresentativo della casa madre del Gruppo richiedeva, come d’obbligo oggi, un progetto innovativo in termini di sostenibilità ambientale, di qualità del luogo di lavoro e una stringente sintonia tra spazio pubblico e privato. La torre si innalza in un lotto vicino alla stazione di Porta Susa, un nevralgico nodo della mobilità cittadina ed extraurbana in corso di riqualificazione, immerso in uno spazio verde appositamente progettato. Impostato su una pianta rettangolare di 700 mq di superficie, il parallelepipedo di acciaio e vetro si staglia compatto nel cielo di Torino per un’altezza di 166 m, poco meno della Mole Antonelliana, l’icona monumentale simbolica della città, che detta la quota insuperabile del profilo urbano torinese.Ogni piano per uffici, che aggrega ambienti aperti, vani riservati, sale riunioni e spazi di ristoro, è attrezzato per circa 100 postazioni di lavoro. Sui fianchi della torre aggettano due corpi regolari: quello a nord ospita le sale riunioni e quelle per le conferenze, quello simmetrico a sud contiene i corpi scala metallici, inscatolati dalle pareti di vetro. La straordinaria qualità degli interni, accurati nei minimi dettagli ed eleganti nella distribuzione planimetrica, nella scelta degli arredi e nella modulazione delle luci naturali e artificiali, è una caratteristica peculiare dei progetti di Piano, riscontrabile in tutte le sue opere.
Il progetto della ricostruzione e dell’ampliamento degli Harvard Art Museums, inaugurato a novembre 2014, fa parte dell’ampio portfolio degli edifici museali dello studio RPBW, che in questo caso ha applicato il suo attuale stile ipertecnologico alla struttura di un’accademia americana tra le più importanti al mondo. Nelle immediate vicinanze sorge, tra l’altro, l’opera di Le Corbusier il Carpenter Center for the Visual Arts, che manifesta con le sue rigide forme moderniste il contrasto al falso rinascimento anni ’20 del museo. L’intervento di RPBW a Harvard ha unito tre musei preesistenti: il Fogg, il Busch Reisinger e il Sackler, aumentando la superficie di circa il 40% e dotando il complesso di nuovi spazi espositivi, dai più attrezzati studi di restauro a un auditorium di 294 posti. Il complesso si è ampliato di due piani in altezza e di tre piani sotto terra, cambiando l’aspetto grazie alla grande copertura vetrata del cortile interno. Ogni prospetto dà una visione molto diversa ma altrettanto suggestiva. La facciata principale ha mantenuto il suo ruolo, ottenendo una nuova cornice grazie alle coperture vetrate. I nuovi corpi vengono aggiunti alle parti sud e sud-est dell’edificio. Estremamente singolare è il prospetto sud che unisce la parte preesistente e quella nuova offrendo una contrapposizione non solo tra il nuovo e il vecchio, un contrasto che diventa collaborazione.
La Fondation Jérôme Seydoux-Pathé è nata nel 2006 per conservare e valorizzare il patrimonio della casa di produzione cinematografica Pathé, fondata nel 1896. Immaginando la nuova sede, la committenza ha fissato degli obiettivi semplici: conservare la ricchezza del patrimonio più che centenario e allo stesso tempo promuoverlo al pubblico. La nuova sede della Fondation Pathé si erge all’interno della corte di un isolato lungo l’avenue des Gobelins, nel XIII° arrondissement, a pochi metri dalla Place d’Italie. Nei primi schizzi dell’architetto genovese si fa largo una forma ispirata al profilo arrotondato e al colore giallo del logo Pathé: la metafora di una lanterna magica che illumina i tetti di Parigi. L’edificio si aggancia, dove possibile, ai muri laterali della corte, distanziandosi tuttavia dal perimetro, in modo da far arrivare la luce naturale nella corte. La ripartizione spaziale segue un’alternanza netta. Da una parte la necessaria oscurità degli ambienti destinati ad archivio, alla proiezione di pellicole e all’esposizione dei delicati oggetti di lavoro cinematografico, dall’altra l’apertura e la luminosità degli spazi espositivi, del centro di ricerca e degli uffici. Il piano terra, completamente vetrato, lascia correre lo sguardo dalla strada attraverso tutta la lunghezza l’edificio, fino al piccolo giardino posizionato in fondo alla corte.
ARGOMENTI
– Il nuovo museo delle Statue-Stele Lunigianesi nel Castello del Piagnaro a Pontremoli – Pag. 92
– Lowline: Delancey Underground Park New York. Da rudere urbano a parco sotterraneo – Pag. 98
– Superstudiomania. La Mostra al PAC di Milano – Pag. 103
– La Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana 2015 – Pag. 106
– La nuova Piazza Gino Valle al Portello di Milano – Pag.109
LIBRI – Pag. 114
NOTIZIE – Pag. 116
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