Questo numero della rivista, dedicato come il precedente alla rassegna di progetti italiani, intende affrontare la questione dei rapporti tra progettisti e imprese di costruzioni. Il prolungarsi, ormai da oltre un anno, della crisi sanitaria e dei suoi effetti tanto sul piano sociale ed economico quanto sui cambiamenti dei modi di vivere la città e lo spazio domestico e lo spiraglio positivo che si sta aprendo con il Recovery Fund (Next generation EU), sollecitano una seria e più ampia riflessione di carattere culturale sul tema della progettualità e dell’intervento sul territorio. L’erogazione di risorse da parte della Comunità Europea da convogliare secondo tre direttrici principali – digitalizzazione, transizione ecologica, riduzione delle disuguaglianze – rappresenta, infatti, un’occasione per le città alle quali sarà assegnato un ruolo strategico come strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Un’opportunità da non sprecare facendosi trovare impreparati o peggio ancora cercando di assicurarsi ciascuno per la propria categoria una parte delle risorse. È il momento di costruire una visione più ampia sul destino futuro delle nostre città, di pensare a un sistema organico e precisamente finalizzato di interventi senza cadere nella pericolosa abitudine dell’agire in emergenza, a cui dovrebbero tendere non solo i due attori principali – progettisti e imprese – ai quali è affidata l’ideazione e la realizzazione materiale dell’opera, ma anche naturalmente la committenza e prima ancora i decisori politici. È l’occasione di rilanciare il valore del progetto approvando una legge sulla qualità dell’architettura, auspicata da anni e recentemente tornata al centro del dibattito, una legge con la quale riportare al centro, soprattutto per le opere pubbliche, i valori del progetto e non solo il processo con la sua gestione che, seppure importante, non può essere scambiato con il fine. È nel raggiungimento di questi obiettivi che si fa appello alla sensibilità dell’altra categoria coinvolta in questi processi, quella delle imprese, per condurre una battaglia culturale che veda nel progetto di architettura un valore aggiunto e non un mero ostacolo in termini di tempi ed esiti economici dell’operazione. I progetti presentati nel numero, insieme a quelli vincitori e segnalati nell’edizione 2020 dei premi IN/ARCH Ance, sembrano muoversi in questa direzione nella convinzione che solo l’agire congiunto degli attori coinvolti verso obiettivi comuni, supportato da strategie chiare e mirate, possa condurci verso la ricostruzione di città e spazi per vivere all’altezza della nostra civiltà.
NUOVE SINERGIE TRA PROGETTISTI E IMPRESE – Pag. 2
Editoriale di Domizia Mandolesi
LE IMPRESE DI COSTRUZIONI ITALIANE: UNA STORIA TUTTA DA SCRIVERE – Pag. 4
Tullia Iori, Gianluca Capurso, Carolina Di Pietro
IL RUOLO DI IMPRESE E PROGETTISTI NEI PROCESSI DI TRASFORMAZIONE URBANA – Pag. 14
Filippo Delle Piane
CULTURA DEL PROGETTO E CULTURA DI IMPRESA. I PREMI IN/ARCHITETTURA 2020 – Pag. 18
Andrea Margaritelli, Aldo Colonetti
I PREMI IN/ARCHITETTURA 2020 – Pag. 23
FOCUS IMPRESE – Pag. 31
TreeHugger è l’ufficio di informazioni turistiche di Bressanone, situato al limite del centro storico della città altoatesina. L’edificio si stacca da terra con slancio, offrendosi alla città sotto forma di spazio pubblico. L’area è caratterizzata dalla presenza di un monumentale platano di notevoli dimensioni che modella le linee guida del progetto. TreeHugger si avvolge attorno all’albero, a suggellare un’unione indissolubile tra natura e architettura. Sfruttando il tronco come fulcro, cinque campate ad arco liberano l’edificio da terra e si avvolgono intorno all’albero incorniciandone la chioma. Per consentire la massima trasparenza e permeabilità, il piano terra, che ospita gli spazi pubblici e i banchi informativi, è quasi interamente vetrato. Con le sue curve accoglienti, mitigate dalla tettonica decisa del cemento, TreeHugger accende un dialogo con il contesto storico e, come un nuovo fulcro dedicato alla condivisione della cultura locale, attrae un pubblico eterogeneo di visitatori e passanti.
C’è qualcosa di sublime in questo luogo speciale sulla parte più alta della cresta del ghiacciaio della Val Senales, linea di confine tra Italia e Austria. Per offrire a villeggianti e turisti giornalieri una narrazione della storia affascinante di questo luogo, noa* ha ideato un progetto straordinario: una piattaforma panoramica in acciaio corten che incorpora la preesistente croce di vetta e regala ai visitatori un’inedita esperienza di montagna. Appoggiata al terreno solo nei punti strettamente necessari, la struttura si staglia nel panorama come una costruzione sospesa. Caratterizzata da un’architettura organica che rispecchia la topografia naturale del luogo, la piattaforma è realizzata con una pedana composta da griglie sorrette da travi sottili e circondata su tutto il perimetro da lastre verticali in acciaio corten esposto all’azione delle intemperie che ne modificano la colorazione, da marrone scuro a grigio e infine a nero, facendolo diventare un tutt’uno con l’ambiente circostante.
La nuova sede di A DUE vuole ridefinire un paesaggio del lavoro che includa rapporti visivi significativi con il contesto della campagna circostante e rapporti spaziali interni vibranti, seppur basati sulla massima chiarezza e fluidità dei percorsi fisici e percettivi. Il nuovo edificio si articola in una sequenza di corpi edificati alternati a corti verdi longitudinali. Un impianto tipologico sobrio, che trova la sua ricchezza nell’articolazione degli spazi aperti e nel controllo delle viste sul paesaggio. Tutti gli ambienti di lavoro possono relazionarsi con una vegetazione multiforme, interna ed esterna, come elemento vivo che “ossigena” gli spazi e contribuisce ad annullare ogni componente alienante. I percorsi interni al fabbricato sono improntati alla massima chiarezza funzionale e al contempo alla massima trasparenza tra ambiti diversi, al fine di consentire a tutti i collaboratori del gruppo la conoscenza dei processi e delle attività in corso.
La nuova sede di Fastweb a Milano costituisce il primo intervento del più ampio masterplan per l’area Symbiosis, volto alla trasformazione dell’ex area industriale in un polo attrattivo a basso impatto ambientale. La qualità degli edifici che si insedieranno nell’area si esprimerà nella natura del loro rapporto con il suolo: i piani terra, spazi semi-pubblici, saranno progettati e attrezzati in modo da offrire modalità d’uso inedite, come la veranda sull’acqua della sede Fastweb e la terrazza del caffè sotto il volume sospeso. Viene così a generarsi un rapporto di continuità tra spazio pubblico ed edificio, un’integrazione che conferisce valore al progetto. Prima ancora che nei suoi profili architettonici, la qualità del progetto si esprime infatti proprio nella natura fluida e fortemente integrata degli edifici e degli spazi pubblici. Ogni intervento è studiato per aumentare i valori di biodiversità ed ecosostenibilità dell’area, intercettando un desiderio collettivo di ritorno della natura in città.
Gli edifici dei laboratori artigianali e del centro socioeducativo si inseriscono all’interno di un complesso dedicato alla cura delle persone diversamente abili, a completare un programma che comprende anche una mensa-ristorante, un salone polifunzionale e alcuni spazi aperti. In assenza di fondi pubblici, il progetto è improntato alla massima economia dei materiali. Nell’idea che una condizione di difficoltà possa divenire un patrimonio per la collettività si sviluppa anche l’edificio, che da anni è in grado di offrire spazi alla cittadinanza; l’utilizzo di materiali cosiddetti “poveri” diviene un’opzione di linguaggio, radicale e fortemente espressiva. Lo spazio collettivo in tutto il complesso è pensato per alimentare lo scambio sociale e l’integrazione tra ospiti, operatori e coloro che utilizzano il centro civico per diverse attività.
Frutto di un concorso del 2006, il progetto sviluppa l’idea di un radicamento delle strutture edilizie al luogo attraverso la disposizione volumetrica e l’utilizzo di materiali locali, relazionandosi con l’abitato mediante percorsi pedonali che attraversano lo spazio del sagrato. Elemento fondamentale è il percorso pedonale che attraversa il nuovo insediamento, separando i volumi della chiesa da quelli delle attività parrocchiali e suggerendo possibili connessioni urbane con le altre aree pubbliche presenti nell’intorno. Le pareti esterne della chiesa svolgono un ruolo importante nella percezione del complesso, così come la facciata in lastre di travertino, filtro sottile che permette di intravedere gli spazi interni dell’edificio. L’immagine complessiva è ricondotta a una chiara semplicità formale, dove ogni elemento mantiene una sua riconoscibilità allo sguardo di chi percorre i luoghi.
Il nuovo complesso parrocchiale è situato nel cuore di un tessuto urbano nelle vicinanze di Bergamo, dove le colline lasciano spazio alle grandi distese agricole.
Il tema del recinto permette di cucire funzioni molto distinte in un unicum architettonico riconoscibile nel territorio. Edifici massivi, semplici ma forti, si presentano distesi e integrati nel paesaggio. Un’unica materia e un unico colore caratterizzano un’architettura che declina il senso di preziosità e ricchezza nelle differenze delle superfici e nella loro diversa reazione alla luce. Un grande occhio aperto verso l’alto e verso ovest rappresenta l’elemento di proiezione simbolica al cielo, permettendo un abbondante ingresso di luce, soprattutto al tramonto.
Grande forza espressiva è attribuita all’illuminazione a soffitto, realizzata attraverso fori di vario diametro, che restituiscono una sorta di costellazione, rendendo particolarmente suggestivo lo spazio interno.
La casa si trova su un pendio collinare caratterizzato dalla presenza di una rigogliosa vegetazione di numerosi ulivi secolari e da una complessa orografia. L’edificio, che si organizza su due piani, è posizionato a ridosso di una ripida scarpata, il cui dislivello viene colmato precisamente dall’altezza di un piano. La casa si àncora al declivio, diventando elemento di contenimento del terreno e generando un ampio spazio all’aperto, alla quota della strada. I due piani della casa risolvono così il dislivello esistente tra la quota della strada privata di accesso e quella dell’ampio prato più in basso. La pietra arenaria locale è il materiale scelto per tutti i paramenti esterni ed è valorizzata dalle ampie superfici opache, interrotte dalle poche aperture presenti nei prospetti.
L’intervento prevede la riqualificazione energetica e strutturale e il completo restyling di una palazzina degli anni Sessanta adibita a residenza privata, scomponibile in tre appartamenti indipendenti. Della preesistenza si coglie l’imponenza volumetrica nel rapporto con il suo intorno, un discreto contesto residenziale sulla collina di Ivrea.
Il progetto enfatizza questo carattere con la completa pulizia dell’edificio esistente dagli sporti; i pieni e vuoti sono ridisegnati con grandi fori quadrati e la copertura diventa un ulteriore piano calpestabile, un intimo roof-top che permette di afferrare la vista in quota sull’arco alpino e la Serra morenica. In un’ottica di flessibilità, che risponde alle esigenze di dinamismo del nostro tempo, il concept distributivo prevede l’organizzazione di tre abitazioni con tre accessi separati.
La storia della V.House ha inizio con la richiesta di costruire una casa a padiglione a partire da un edificio preesistente situato su una collina del Cilento. Un luogo suggestivo che dialoga con il paesaggio circostante, formato da colline e uliveti, e con il Mediterraneo che si adagia in lontananza. All’esigenza di privacy, espressa dalla committenza, si affiancava il desiderio di avere una casa molto bene identificabile.
La sfida era quella di coniugare il tutto in un corpo esistente e in maniera più economica possibile, dato il budget molto limitato. La traccia data dal rudere era formata da due corpi separati. La prima azione è stata quella di collegarli attraverso un corridoio: una propaggine che termina con una finestra ad angolo. Era necessario inoltre creare un isolamento dall’esterno, dato che la struttura poggiava direttamente a terra. Per ovviare a questo problema è stato creato un colonnato di tubi arancioni in pvc che funzionano sia da camera d’aria protettiva che da aumento dello spessore murario, così da accrescerne l’inerzia termica.
Alvisi Kirimoto ripensa la periferia di Barletta con l’obiettivo di accordare la macro-scala urbana con la dimensione domestica, all’interno di un più ampio sistema di rivitalizzazione del quartiere. Dal profilo sobrio e rigoroso, l’edificio si rapporta alla città in modo scultoreo, in netto contrasto con il contesto in cui si inserisce, carente di spazi verdi e segnato da tipologie abitative e urbane prive di innovazione.
La regolarità dei prospetti rappresenta il carattere principale dell’intervento: la cortina in mattoni di colore grigio scuro diventa una partitura neutra dove a scandire il ritmo sono gli elementi in lamiera metallica bianca di aggetti e bucature. Il progetto riporta al centro del dibattito architettonico il tema degli alloggi di qualità a prezzi accessibili.
ARGOMENTI
– Roma 1960. Il ruolo degli architetti nella Società Generale Immobiliare – Pag. 112
– Il progetto del nuovo Polo Civico del Flaminio a Roma – Pag. 117
LIBRI – Pag. 120
NOTIZIE – Pag. 122
INDICE 2020 – Pag. 125