Architetture in ambienti estremi, impervi per posizioni geografiche e condizioni climatiche, affascinanti ma ostili alla vita normale è una rassegna di opere insolite che, da un lato ci comunicano l’inesauribile senso di sfida dell’uomo, sempre pronto a inventare modi e strumenti per superare i limiti imposti dalla natura, dall’altro ci riportano alle visioni e alla produzione immaginifica di alcuni movimenti di avanguardia degli anni Sessanta e Settanta. Si tratta di architetture elementari e ricercate al tempo stesso che utilizzano tecnologie innovative e procedimenti costruttivi sperimentali, che devono creare ambienti accoglienti ed essere autosufficienti dal punto di vista energetico, il cui scopo è quello di consentire all’uomo di esplorare paesaggi naturali difficili e incontaminati per soddisfare il desiderio di conoscenza o per il piacere della pura contemplazione. Architetture che devono rispondere con chiarezza ed efficacia di mezzi a bisogni elementari per la sopravvivenza facendo a meno di qualsiasi sovrastruttura, esito di un processo progettuale controllato in tutte le fasi, dall’ideazione alla realizzazione dei componenti base, al cantiere. Macchine fantascientifiche per esplorazioni ambientali o piccoli rifugi calati in panorami mozzafiato che esibiscono con forza la loro differenza dall’ambiente circostante nel quale si pongono come unici punti di riferimento, luoghi da cui osservare i fenomeni naturali o ristorarsi dopo un faticoso cammino. L’architettura alla ricerca di nuovi spazi d’azione sarà presto coinvolta anche nella progettazione di stazioni spaziali in ambienti diversi da quello terrestre, come si evince dall’intervista di Giuseppe Saponaro a Franco Fenoglio di Thales Alenia Space, ribadendo con forza il suo ruolo primario come mezzo fondamentale per stabilire un rapporto significativo tra l’uomo e l’ambiente. Una conquista che può sembrare paradossale se paragonata alla condizione di marginalità in cui è costretta la disciplina in un paese come l’Italia dove la battuta di arresto delle attività di trasformazione del territorio di questi ultimi anni sta avendo gravi ripercussioni per lo sviluppo a tutti i livelli: culturale, sociale, economico, occupazionale. Una condizione di grave sofferenza e degrado che è stata bene evidenziata dal Presidente dell’ANCE Gabriele Buia nella relazione annuale all’Assemblea dell’Associazione del 18 ottobre scorso, di cui è stata riportata una sintesi nelle pagine di questo numero.
RELAZIONE DEL PRESIDENTE GABRIELE BUIA ALL’ASSEMBLEA ANCE – Pag. 8
ARCHITETTURA E TECNOLOGIA. DALLE AVANGUARDIE DEL SECOLO SCORSO ALLE SFIDE CONTEMPORANEE – Pag. 14
Giuseppe Saponaro
PROGETTARE STAZIONI SPAZIALI. IL CONTRIBUTO DI THALES ALENIA SPACE ALLA ISS – Pag. 52
Giuseppe Saponaro
COSTRUIRE IN LUOGHI OSTILI. ARCHITETTURE D’ALTA QUOTA – Pag. 60
Leila Bochicchio
A seguito di un concorso internazionale di architettura bandito nel 2004, lo studio di architettura londinese Hugh Broughton Architects si aggiudicò l’incarico per la progettazione e realizzazione di una nuova stazione britannica di ricerca in Antartide. Una delle esigenze primarie del progetto era quella di creare una stazione di ricerca mobile, trasferibile in diverse aree antartiche a seconda delle esigenze. Fra il gran numero di esigenze programmatiche si segnalano innanzitutto la produzione e la prefabbricazione delle singole componenti che sono avvenute in Sud Africa. Queste sono poi state trasportate in loco tramite una nave in grado di attraccare a margine del ghiacciaio dove poter stoccare i singoli pezzi. Il montaggio a secco dei singoli pezzi è stato eseguito osservando il rispetto di portanza massima del ghiaccio galleggiante sul mare. I tempi di montaggio e di collocazione dell’intera stazione di ricerca si sono dovuti adattare al periodo di illuminazione naturale in Antardide.
L’International Polar Foundation ha ricevuto nel 2004 dal governo belga l’incarico di progettare, costruire e gestire una nuova stazione antartica di ricerca scientifica. Si tratta della prima stazione polare “a emissioni zero” del mondo, situata in Antartide alle coordinate 72 ° Sud 23 ° Est, posta alla sommità di un rilievo di granito, a nord del Nunatak Utsteinen nelle montagne Sør Rondane. Alla progettazione hanno contribuito diverse aziende specialistiche coordinate dalla International Polar Foundation, che ha affidato allo studio belga di ingegneria e architettura Philippe Samyn & Partners il compito di definire la morfologia e la struttura dell’opera. General contractor per la realizzazione è stata la società belga BESIX. Come luogo di edificazione è stato scelto un rilievo roccioso in modo da garantire una maggiore affidabilità di fondazione rispetto a una banchisa galleggiante sull’Oceano a margine del continente antartico.
La stazione polare Neumayer III, eretta sulla banchisa galleggiante “Ekstroem Ice Shelf” situata davanti alla costa della “Terra della Regina Maud” a margine del continente antartico prospiciente le estreme propaggini meridionali dell’Oceano Atlantico, ha dal 2009 il compito di sostituire la stazione di ricerca Neumayer II, entrata in funzione nel settembre del 1992. La stazione Neumayer II è risultata inutilizzabile dopo poco più di un decennio a causa della sua concezione edilizia. In particolare, il fatto di trovarsi rigidamente vincolata alla banchisa, in costante movimento verso il mare, e ancorata a una ben precisa altezza di fondazione ha causato la deformazione del guscio metallico del corpo di fabbrica fuori terra a causa dei carichi esterni degli accumuli di neve che lo hanno sommerso. Pertanto la nuova stazione di ricerca è un edificio costituito da due elementi: un sistema di fondazione e il fabbricato vero e proprio.
Il padiglione museale sulla sommità del passo del Rombo, ancorando le proprie fondazioni nel suolo austriaco e proiettandosi verso quello italiano con uno sbalzo di sedici metri, segnala il confine tra i due paesi. L’intervento, progettato dallo studio Werner Tsholl Architecture, rientra in un più ampio programma, a cavallo tra la ordinaria manutenzione delle infrastrutture e un piano di rilancio turistico, intrapreso nel 2007 in previsione del 50° anniversario dall’apertura del passo. Il programma ha decretato la realizzazione di cinque stazioni panoramiche tutte accomunate dall’impiego del medesimo materiale: un calcestruzzo sperimentale ottenuto tramite l’uso della pietra locale. Lo spirito dell’operazione è di arricchire e rendere attrattivo il percorso tramite l’inserimento di minute strutture turistiche, ma allo stesso tempo di salvaguardare il carattere originario dell’opera, sin dall’origine perfettamente integrata nel paesaggio.
Il rifugio d’alta quota Gervasutti di LEAP factory si presenta come un manufatto a metà strada tra un organismo architettonico e un oggetto di design. L’impianto è concepito come prodotto più che come opera; implementabile, personalizzabile e commerciabile, può adattarsi a varie localizzazioni. Lo studio LEAP, acronimo di Living Ecological Alpine Pod, indirizza interamente la propria ricerca nel tentativo di rendere abitabili luoghi estremi, nella maggior parte dei casi montani, nel totale rispetto delle condizioni ambientali esistenti. Il bivacco è una capsula artificiale in bilico su uno sperone roccioso a 2835 metri di altezza, sul massiccio del Monte Bianco. I progettisti non indirizzano le loro scelte cercando di mimetizzare il manufatto nello scenario del ghiacciaio; piuttosto la struttura si palesa come una presenza estranea al contesto, che richiama le attrezzature tecniche degli alpinisti più che gli elementi naturalistici del luogo.
Aggrappato a 3.835 m, sulla leggendaria “Via Normale francese al Monte Bianco”, sorge il nuovo rifugio del Goûter. Nel 2005 il forte impatto ambientale del rifugio preesistente e la graduale obsolescenza dei suoi materiali, hanno convinto la Federazione Francese dei Clubs Alpini ad attivarsi per la sua sostituzione. Il programma funzionale del nuovo rifugio include quanto necessario ad accogliere 120 visitatori: spogliatoi, bagni, camere da letto, cucina, infermerie, nonché gli appartamenti degli addetti, per una superficie lorda di 720 mq. Il cronoprogramma dei lavori è stato dettato innanzitutto delle condizioni meteorologiche, talvolta estreme; il cantiere si è quindi svolto solo durante tre stagioni comprese tra il 2010 e la fine del 2012. I materiali da costruzione sono stati trasportati tramite elicottero nel sito prestabilito; sito che è stato individuato grazie ad accurati studi geologici sulla qualità della roccia, determinanti nella decisione di realizzare una porzione di edificio a sbalzo, per evitare un carico eccessivo della neve, ma anche per favorire la ventilazione alla base e assicurare un accesso all’involucro metallico.
Su uno sperone a 2.260 metri sul livello del mare, poco più a nord di un esistente rifugio, lo studio OFIS di Lubiana ha realizzato per l’associazione Alpinisti Sloveni un mini bivacco, un volume prismatico, alto e stretto, fortemente iconico, esposto ai bruschi sbalzi termici e agli oltre 10 metri di neve che possono cadere in inverno su queste cime aguzze delle Alpi Giulie. Un piccolo oggetto architettonico dichiaratamente estraneo, fuori dall’ordinario, la cui interazione con il paesaggio montano avviene per contrasto tra l’artificialità delle sue forme e l’irregolarità organica della roccia. Il volume sfida i limiti statici e ogni senso di vertigine; il piccolo basamento ancorato alla roccia, lo sbalzo verso la voragine rocciosa, gli esili cavi di acciaio gli conferiscono un aspetto precario e al contempo temerario. La scocca esterna in alluminio possiede un film protettivo particolarmente efficace nella protezione dai raggi ultravioletti, dalla neve e dal vento; il pannello, inoltre, include uno strato interno di polietilene che ne aumenta considerevolmente la durabilità, a dispetto del peso contenuto.
Il rifugio sul Monte Skuta nasce in un laboratorio didattico dal titolo “Abitare in ambienti estremi”, condotto nel 2014 da Rok Oman e Spela Videcnik, dello studio OFIS Architects, alla Graduate School of Design di Harvard. Durante l’esperienza formativa architetti e studenti hanno sondato le sfide connesse all’insediamento di un manufatto nel rigido contesto del clima alpino. Il piccolo bivacco montano è il risultato di un lavoro corale, che accoglie i contributi di numerosi attori: il concept degli studenti, approfondito da OFIS ed esaminato da AKT II nella sua componente strutturale, ha recepito le istanze degli alpinisti e scalatori Anze Cokl e Milan Sorc. La fase cantieristica, completata in un solo giorno, ha visto il coinvolgimento delle forze armate slovene e del servizio di soccorso montano di Lubian. Seppure esigua nelle dimensioni l’opera è il risultato di un’impresa collettiva delicata e ingaggiante, viste le problematiche legate alla concezione di un edificio posto a un’altitudine di più di 2.000 metri, in un’ambiente privo di ogni forma di infrastrutturazione.
Peter Pichler e Pavol Mikolajcak hanno vinto nel 2015 il concorso per la progettazione di un rifugio d’alta quota sulle Dolomiti altoatesine. L’edificio, adiacente a una preesistente seggiovia, è raggiungibile tramite un ascensore, oppure costeggiando la pista, dalla terrazza panoramica che funge da ingresso e da punto d’incontro e sosta per gli sciatori. La suggestione figurativa che ha ispirato i progettisti è l’immagine di un albero; un tronco che emergendo dal suolo si biforca in più rami. L’edificio, semi-ipogeo, permette una duplice percezione e una diversa relazione con il paesaggio a seconda del punto di osservazione o di arrivo. Sbarcando dalla seggiovia la costruzione si palesa attraverso la sola copertura. Sviluppandosi interamente a una quota inferiore, la volumetria è da qui impercettibile mentre la sagoma del tetto fa risuonare il ritmo alternato di picchi e vallate dello scenario circostante, senza ostruirne la vista.La dimensione non modesta del manufatto è inserita nel contesto senza risultare invasiva.
ARGOMENTI
– Un padiglione turistico nel ghiacciaio più grande del mondo – Pag. 108
– Il cohousing come risposta all’abitare contemporaneo – Pag. 112
– L’architettura degli spazi emotivi nel film di Cuarón, Leone d’Oro alla Mostra di Venezia – Pag. 117
NOTIZIE – Pag. 120
LIBRI – Pag. 126
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