“Made in Italy. Dal riuso alla rigenerazione urbana” prosegue le riflessioni già affrontate e approfondite nei numeri della rivista pubblicati nel corso degli ultimi anni. Il tema, centrale per il futuro sviluppo del territorio italiano, è quello dell’intervento sull’esistente per manutenerlo, ripararlo, migliorarlo, integrarlo, completarlo, aggiornarlo agli stili di vita contemporanei. Un tema che investe il paesaggio italiano inteso non solo come tessuto edificato, ma anche come conformazione geografica, espressione di cultura e forme di vita, ambiente e sua percezione, come insieme riconoscibile fondato su relazioni complesse tra queste diverse componenti. Un tema che dovrebbe essere scontato in un paese con le caratteristiche fisiche, geografiche e architettoniche del nostro anche se, purtroppo, non è così. A testimoniarlo le difficoltà con le quali si è riusciti a mettere insieme la selezione di opere pubblicate tenendo fede al principio che fossero realizzate negli ultimi 5 anni. Ma l’aspetto più inquietante emerge dai dati dell’ultimo Rapporto Ispra-Snpa sul “Consumo di Suolo in Italia 2018” nei quali è stato osservato un ulteriore aumento nel 2017, in particolare nelle regioni in ripresa economica, dove il nuovo costruito invade aree protette e a rischio idrogeologico, soprattutto lungo le coste e i corsi d’acqua. Nonostante la legge, nonostante le condizioni di abbandono e di degrado di un ingente patrimonio comprendente una grande varietà di manufatti intervallati da aree vuote, i principi e le strategie di intervento e rigenerazione dell’esistente stentano a divenire pratica corrente in Italia. Densificare, connettere, ricucire, costruire sul costruito, progettare spazi pubblici, aumentare la dotazione di aree verdi, potenziare il trasporto pubblico sono le azioni alla base dei programmi di rigenerazione urbana nel resto d’ Europa, che hanno consentito la riqualificazione e lo sviluppo sostenibile dei centri urbani favorendone la crescita economica. In questa linea di pensiero si colloca la selezione di interventi presentati in questo numero. Interventi che ben rappresentano una parte dell’ampia casistica legata al tema del “trasformare l’esistente” in Italia e che dovrebbero diventare di routine nel prossimo futuro ed entrare a far parte di un nuovo modo di vedere e di pensare le modificazioni del nostro ambiente.
RIUSARE, RIQUALIFICARE, TRASFORMARE. NUOVE ECONOMIE SOSTENIBILI PER NUOVE NARRAZIONI COLLETTIVE – Pag. 8
Marco Spada
IL PORTO VECCHIO DI TRIESTE. NUOVI SCENARI E IPOTESI DI TRASFORMAZIONE – Pag 84
Maurizio Bradaschia
RIGENERAZIONE URBANA COME MODELLO DI SVILUPPO PER LA CITTÀ MEDIA: COSENZA – Pag.92
Fabrizia Berlingeri
Il progetto, firmato Dominique Perrault e coordinato da Grandi stazioni, interessa la riqualificazione dell’intera area urbana di fronte alla stazione Centrale e si sta sviluppando tramite un lungo processo a più fasi. Il progetto offre un nuovo, dinamico spazio aperto urbano, dialogando con il denso sottosuolo della città in maniera elegante e ricca. Il grande taglio in verticale coronato dalla leggera copertura tessile in superficie crea una varietà di luci e riflessi che incantano e rispondono in maniera più che adeguata a quella che è ormai una tradizione tutta napoletana di progettare grandiosi spazi ipogei. Il progetto non è stato ancora completamente realizzato e questo intervento di riqualificazione è sicuramente già rivelatore di un interessante rapporto con il sottosuolo che, si spera, possa rivalutare anche quelle aree urbane ancora in fase di completamento.
Il progetto di recupero per l’attivazione del campus dell’Università del Piemonte Orientale si fonda sulla riconfigurazione morfo-tipologica dell’intero impianto delle Caserme Perroni già esistenti, trasformazione attuata in totale autonomia strutturale e figurativa rispetto alla preesistenza, al fine di garantire la conservazione dell’involucro, opportunamente restaurato, secondo una modalità operativa volta ad una potenziale e completa reversibilità dell’intervento. Il progetto è frutto di un concorso internazionale di idee e di un impegno economico considerevole da parte del Ministero della Difesa e Demanio che hanno condotto a un’operazione di rigenerazione urbana importante per la città in cui il nuovo si inserisce nell’antico, secondo il tema della casa nella casa, in un gioco di scatole sovrapposte.
La nuova sede romana del grande magazzino fondato dai fratelli Bocconi a Milano alla fine dell’800, al quale D’Annunzio aveva dato il nome di Rinascente nel 1918, oggi è nascosta dietro la lunga facciata di un palazzo che fu di proprietà dell’INA a via del Tritone. In questo intervento di recupero e ristrutturazione di una porzione di isolato del centro storico di Roma a vocazione commerciale, l’edificio è un contenitore neutro e tutto il progetto consiste nel mantenimento della sagoma con altezze e volumetria invariata, nella conservazione e restauro delle due facciate e nella demolizione-svuotamento dei volumi all’interno dell’isolato. Le complesse vicende amministrative che ciò ha comportato hanno richiesto un notevole impegno nella ricerca di soluzioni progettuali adeguate alle norme di tutela del patrimonio, per le problematiche emerse in seguito alla scoperta dei reperti archeologici dell’Acquedotto risalente all’età di Augusto.
L’area di via Mecenate a Milano rappresenta oggi una delle possibili forme di convivenza tra strutture attive, realizzate tra gli anni ’60 e ’80 del ‘900, e riuso creativo e imprenditoriale di vecchie strutture industriali dismesse. Questa convivenza in parte prosegue l’esperienza del distretto Lambrate, poco più a nord, e viene ribadita dalla realizzazione del flagship project Gucci Hub. Il progetto è realizzato nella fabbrica della Caproni ed è interamente finanziato da Kering, colosso francese dell’alta moda, e si pone nel solco delle grandi case di moda che stanno concentrando le attività in location iconiche e dal grande impatto visivo. Il lotto è diviso in due parti, separate da un lungo viale: una più ampia e articolata e una, di dimensioni inferiori, costituita da una stecca di capannoni. Tra le due parti un capannone trasversale è stato svuotato, creando un collegamento coperto tra le due aree.
Il fondaco è una tipologia edilizia molto particolare: attracco, albergo, magazzino, bazar, fortezza e consolato, che nella città più commerciale del mondo rappresentava una protezione dalle insidie della Serenissima. Il progetto, sviluppato da Benetton e DFS, Poste Italiane e Comune di Venezia, è stato eseguito da OMA e non modifica sostanzialmente i caratteri morfotipologici dell’edificio preesistente. Il progetto è pulito, e l’intervento architettonico più visibile è la parete in mattoni, caratterizzata da una grande lunetta, che cela in parte le scale mobili, mentre rimangono inalterate le altre pareti dell’edificio. OMA aggiunge e modifica piccoli e preziosi dettagli. I collegamenti verticali sono una delle principali caratteristiche del progetto: le scale mobili sono di un acceso rosso veneziano e i tamponamenti sono in legno pregiato, le finiture sono in metallo dorato, ad aumentare la percezione di lusso.
La Casa della Memoria, realizzata tra il 2013 e il 2015 su progetto del giovane collettivo italiano Baukuh, è un piccolo e compatto volume inserito nel grande intervento di riqualificazione di Porta Nuova, ai margini dello storico quartiere industriale Isola di Milano. Il progetto è stato voluto dal Comune di Milano, in accordo con Hines Italia, main developer di Porta Nuova, e realizzato tramite un bando riservato ad architetti under 40. L’edificio ha l’alto compito di offrire la sede a diverse associazioni nazionali, legate da valori quali libertà e democrazia, e lo fa in maniera modesta e sostenibile, tra spese e volumi contenuti che non limitano però la ricchezza dell’intervento. Il progetto è raffinato ed essenziale nella definizione degli spazi, sia interni che esterni. Il parallelepipedo, semplice e regolare, gestisce le relazioni con l’intorno inserendosi perfettamente con il tessuto urbano a margine, mentre la ricchezza contemporanea delle facciate dialoga con il Bosco Verticale di Boeri.
Il progetto realizzato da Ferrara Associati su iniziativa del Comune di Poggibonsi ha saputo promuovere la valorizzazione della preesistenza architettonica della fortezza medicea, opportunamente restaurata, predisponendo un’efficace azione di ripristino e riequilibrio ambientale per il paesaggio circostante. Il rinnovato percorso pedonale, ideato in senso parallelo alle mura e ai filari di ulivo presenti, si sviluppa fino ad incontrare specifiche aree di sosta, strategicamente organizzate in prossimità delle roccaforti sottostanti, consentendo così un’inedita percezione prospettica dell’Abbazia di S. Lucchese e della più lontana figura di San Gimignano. Oltre agli snodi in prossimità dell’accesso secondario, la “passeggiata culturale” si conclude nell’area degli scavi archeologici, terminando la sequenza spaziale all’interno di un sagrato ideale, da cui è possibile apprezzare il manufatto della Fortezza, quale unico elemento costruito, immerso in un orizzonte paesaggistico apparentemente illimitato.
L’Officina Grandi Riparazioni rappresenta il nodo tra la persistenza di un passato corale e un presente in cui la città si è saputa rinnovare senza rinunciare alla sua identità di centro manifatturiero. Il progetto di recupero nasce da due diverse volontà, da un lato quella di FS Sistemi Urbani di valorizzare immobili e aree in dismissione, dall’altro quella di Fondazione CRT di investire nella creazione di cultura e impresa. Il progetto è un’interessante azione di recupero: l’edificio è formato da due stecche di fabbricati, uniti da uno “snodo” a formare una grande H con una corte più ampia e una più intima. Le due stecche sono a loro volta tripartite. Nel recupero, con una certa feticistica ossessione verso il decadimento delle rovine industriali, si è cercato di mantenere gli intonaci scrostati, i ferri contorti e una atmosfera di polverosa decadenza. Le officine sono articolate quindi in tre corpi: le Officine Nord, polo espositivo e performativo, lo Snodo, un ristorante e le Officine Sud, un incubatore di industrie creative.
Il nuovo ponte sul fiume Crati si pone come fondamentale connessione della “città consolidata” con il più ampio contesto dell’area urbana, elemento strategico di cucitura infrastrutturale nel processo di metropolizzazione che investe Cosenza ormai da anni. Il ponte presenta una struttura mista in acciaio e cemento armato, articolata in due parti: il ponte strallato a campata unica sul fiume, in acciaio, della lunghezza di 124,725 metri, e il suo prolungamento in cemento armato sulla terraferma sul lato occidentale, di 30 metri di luce, che sovrasta la sede di una strada ferrata. La sezione trasversale del ponte, della larghezza di 24 metri, presenta un percorso pedonale centrale largo 6,20 metri, rialzato rispetto alle due carreggiate veicolari (con due corsie per ogni senso di marcia) da esso separate.
ARGOMENTI
– Appagante, ma non dissonante. Gli architetti di Zevi al MAXXI di Roma – Pag. 110
– Non chiamatelo radicale. Ugo La Pietra in mostra al CIAC di Foligno – Pag. 115
– La casa del poeta. In memoria di Valentino Zeichen – Pag. 118
– Il convegno Mipim Proptech di Parigi. Sfide e opportunità della rivoluzione digitale per lo sviluppo nel settore dell’edilizia – Pag. 121
NOTIZIE – Pag. 122
LIBRI – Pag. 127
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