Dopo più di un secolo dalla prima esposizione italiana del 1906, torna proprio a Milano l’Expo 2015. Un successo, nonostante le polemiche, i ritardi e le inchieste giudiziarie, in una città in grande fermento grazie alle numerose trasformazioni che stanno investendo il suo territorio. Tra i progetti legati a Expo, Milano ha inaugurato in questi mesi la riqualificazione della Darsena tra Porta Genova e Porta Ticinese, che rilancia la zona dei Navigli. A nord, ben visibili dal sito Expo, sono stati aperti i ponti e le strade progettati dallo studio Citterio Viel & Partners per un’infrastruttura che collegherà la A8 Laghi con la tangenziale Ovest. L’Expo è facilmente collegata anche alle sette nuove torri di Cascina Merlata (520mila mq), utilizzate come Villaggio Expo per i delegati internazionali. In zona Tortona è stato inaugurato il Museo delle culture progettato da David Chipperfield nella zona ex Ansaldo, mentre la Fondazione Prada di Rem Koolhaas ha preso il posto di una vecchia distilleria. L’Expo si sviluppa nella zona di Rho-Pero, a nord-ovest della città, in un’area ben collegata con la linea ferroviaria e con quella metropolitana. L’impianto urbano semplice e ordinato, strutturato secondo un Decumano di 1.500 metri di lunghezza e un Cardo di 350 metri, orienta bene nella visita e integra tra loro la varietà dei padiglioni e degli allestimenti. Il concept è stato messo a punto da una consulta internazionale composta da Stefano Boeri, Richard Burdett, Joan Busquets, William McDonough e Jacques Herzog e poi sviluppato da un gruppo di architetti neolaureati del Politecnico di Milano inseriti nell’Ufficio di Piano di Expo 2015. Tra le richieste della società di gestione dell’evento ai partecipanti, quella di alternare spazi aperti e coperti destinando almeno il 30% al verde e di impiegare la prefabbricazione con tecnologie a secco per facilitare l’installazione in sito e in seguito lo smontaggio dei padiglioni. Le risposte si sono tradotte in una molteplicità di declinazioni sul tema dell’assemblaggio e dell’uso di tecnologie come quelle del legno e dell’acciaio, coniugate con le necessità espressive di ciascuna delle nazioni partecipanti. Tra i padiglioni illustrati in questo numero della rivista, selezionati in base alla loro capacità di integrare aspetti di interesse architettonico con l’innovazione delle scelte tecnologiche e dei sistemi costruttivi, il Padiglione italiano di Studio Nemesi costituisce uno snodo fondamentale del percorso di visita. L’unico destinato a restare dopo l’evento, si propone con una facciata sperimentale in cemento bianco fotocatalitico impreziosita da polvere di Bianco di Carrara.
L’EXPO DI MILANO 2015 – Pag. 4
Paola Pierotti
TRA I PADIGLIONI – Pag. 24
Valerio Paolo Mosco
L’ideazione del Padiglione si deve allo studio di Arthur Casas, noto progettista brasiliano. Il progetto porta la firma anche del designer Marko Brajovic. I progettisti hanno vinto il concorso bandito da APEX Brasile, agenzia che promuove le esportazioni e gli investimenti, mescolando architettura e scenografia per suggerire ai visitatori i valori tipici che, attraverso l’allevamento e l’agricoltura, sono in grado di rispondere all’input dell’Expo: soluzioni per nutrire il pianeta. Il visitatore viene immerso in un padiglione temporaneo, un grande portale d’acciaio foderato di sughero che funziona come una piazza aperta, capace di sollecitare i sensi, coinvolgere la persona e interagire con essa, grazie a una rete flessibile e fuori centro che evoca le molteplici realtà del Brasile. La rete, per i progettisti, rappresenta l’orizzontalità e, attraverso i suoi elementi, è in grado di produrre sinergie per soluzioni individuali o collettive. A cominciare dal preservare le risorse naturali, come quelle della foresta amazzonica.
Il piccolo Paese sud-americano partecipa per la prima volta ad una esposizione universale. La struttura ellittica in acciaio e legno, al cui interno si sviluppa uno spazio spiraliforme, rappresenta il suo manifesto, “La vita cresce in Uruguay” il suo slogan. Progettato da un team di architetti e ingegneri guidati dall’architetto Javier Díaz dell’INAC (Istituto Nazionale Carni), il padiglione uruguaiano è il frutto di un unico gesto compositivo: una linea sinuosa che, avviluppandosi su se stessa, definisce 785 mq tra spazi espositivi, spazi di sosta e per il ristoro, all’interno di un volume cilindrico alto per tre piani. Sottili lame metalliche si stagliano verticalmente lungo il suo perimetro. Ceppi di legno vi si inseriscono in maniera randomica, opponendosi alla regolarità del loro ritmo, per creare una pelle multimateriale in grado di schermare il padiglione dalla luce solare. L’acciaio, materiale moderno per eccellenza, è giustapposto al legno rustico degli usi rurali, quasi a voler sottolineare come innovazione e tradizione rappresentino gli ingredienti fondamentali per uno sviluppo sostenibile.
The Land of Hope è il tema del Padiglione cinese di Expo 2015 progettato dallo studio Link Arc e tradotto in un concept che si distingue per la particolare copertura ondulata che fonde il profilo della città, sul lato Nord, con quello del paesaggio, sul fianco Sud. La speranza può essere realizzata quando natura e città coesistono in armonia. Il padiglione cinese è tra i più complessi costruiti a Milano, e per la buona riuscita del progetto è stata fondamentale la sinergia tra numerosi professionisti internazionali e non. La copertura sospesa è stata realizzata con una struttura in legno lamellare che rimanda al sistema tradizionale cinese “raisen-beam” ma adattato alle moderne tecnologie costruttive. In particolare, riferendosi alla cultura e alla storia cinese, la parte visibile esternamente è stata rivestita con pannelli di bambù, arrivati direttamente dalla Cina via nave, posati a scandole per ombreggiare gli spazi sottostanti. Il piano terra dell’edificio, “il campo della speranza”, è delimitato da un paesaggio che rievoca il grano: all’esterno c’è un giardino giallo fiorito, mentre all’interno il campo di grano diventa un’installazione multimediale.
Il padiglione degli Emirati Arabi Uniti è stato concepito come un ponte sul futuro: una tappa italiana che racconta come la Penisola Arabica affronti e cerchi di risolvere il problema della scarsità di risorse e un manifesto su quello che ci riserverà l’Esposizione Universale in programma a Dubai nel 2020. Il concept evoca le strade pedonali delle città dei Paesi Arabi e le forme morbide del deserto: il progetto si struttura come un canyon lungo 140 metri e ampio 40, con pareti alte 12. Un percorso che accompagna per tappe il visitatore verso un cinema vero e proprio che è il fulcro del padiglione, dove viene proiettato un filmato che racconta la lunga storia del paese arabo attraverso un viaggio nel tempo, parlando di risorse e di futuro sostenibile. Dal punto di vista costruttivo il progetto si distingue per l’elevato impiego di tecnologia a secco, come previsto dal bando Expo Spa, ma soprattutto per poter consentire lo smontaggio e la ricostruzione del padiglione a Masdar City, una volta terminato l’evento italiano.
Progettato dall’artista inglese Wolfgang Buttress e da BDP, il padiglione del Regno Unito si ispira al fondamentale ruolo svolto dall’impollinazione nella catena alimentare. In realtà, sin dal tema Grown in Britain che identifica il padiglione, emerge con forza il significato metaforico che si cela dietro il tema mellifero. Il riferimento alla Gran Bretagna e all’immagine che di essa vogliono dare i progettisti è quasi didascalico ma indubbiamente efficace. Ma il riferimento al tema dell’impollinazione è anche l’occasione per celebrare il paesaggio inglese. L’Inghilterra è, infatti, la patria dell’Architettura del Paesaggio permeando, quest’ultimo, l’intera cultura anglosassone. The Hive (l’alveare) è il punto focale di tutta la prospettiva e cuore pulsante dell’intera composizione, questa grande sfera traforata in alluminio rappresenta la sintesi perfetta tra massima artificialità e massima naturalità, tra natura e architettura. Un certo interesse riveste il processo di produzione e montaggio della sfera. Pur trattandosi di una grande scultura, è stata pensata e progettata per essere facilmente montabile e smontabile al fine di poterla trasferire altrove una volta finita l’EXPO. In particolare i 169.300 elementi di cui è fatto the Hive sono stati realizzati secondo una logica di prefabbricazione che, una volta in situ, ne ha consentito la costruzione in meno di tre mesi di lavoro e con non più di dodici addetti coinvolti.
Il tema simbolico e culturale è sicuramente l’elemento portante del progetto del padiglione della Santa Sede. Il padiglione è concepito come una sorta di roccia solida e compatta, le cui superfici diventano supporti per la comunicazione del messaggio cristiano. La scrittura diviene forma poetica e immagine architetturale, grazie alle scritte metalliche filiformi che sono appese distanziate dalle pareti di supporto, come sospese nel vuoto, moltiplicandosi ed espandendosi a seconda dell’inclinazione della luce del sole. A completare il messaggio simbolico, in cima a questo masso cresce un giardino, “luogo” per eccellenza della fede. Il padiglione si compone di un unico volume, monolitico e monomaterico, articolato secondo piani inclinati che riportano all’esterno le variazioni dello spazio espositivo interno. Un grande lavoro sui simboli e sui valori profondi della Cristianità, accompagnato da una raffinata progettualità, è l’elemento di maggiore interesse del padiglione. Tutta la scelta dei materiali da costruzione e delle finiture è improntata al concetto di sobrietà, attraverso l’utilizzo di materiali semplici e non appariscenti e l’impiego di sistemi costruttivi leggeri a secco.
Il primo elemento che invita il visitatore a entrare è la natura della forma messa in atto. Sembra il ribaltamento di 180° di uno spicchio di mondo. Accuratamente tagliata, questa fetta di territorio variamente articolato mostra rilievi e depressioni ed esibisce un continuo alternarsi di concavità e convessità. In sintesi una sorta di grande caverna che richiama l’attenzione con una pluralità di elementi appesi al soffitto. La volontà degli autori era quella di simulare un grande mercato, un luogo di scambio delle merci. All’esterno, una serie di piante tipiche degli orti accolgono l’ospite proponendogli l’immaginario agricolo della campagna francese, L’edificio si sviluppa su uno spazio di 3592 metri quadri ed è costituito essenzialmente da legno lamellare francese, abete all’interno e larice all’esterno. I diversi elementi che compongono l’orditura primaria e secondaria, il soffitto, la pavimentazione e le aperture sono connessi gli uni con gli altri per comporre un’unica opera che disegna allo stesso tempo sia l’involucro che la volumetria interna.
Palazzo Italia è l’unica installazione che sopravviverà alla manifestazione e, pertanto, è stata concepita in maniera completamente diversa rispetto a tutti gli altri padiglioni espositivi presenti a Milano. Situato nelle immediate vicinanze dell’Albero della Vita, Palazzo Italia costituisce uno snodo fondamentale nel percorso di visita. L’elemento caratteristico a livello estetico è certamente il rivestimento di facciata di colore bianco. In esso ha luogo la ramificazione di una serie di alberi che, diradandosi sempre più verso l’alto, è infine penetrata da un cono di luce che si fa strada tra i rami stessi: tutto ciò avviene tramite una maestosa vetrata strutturale che si insinua all’interno degli “alberi di cemento”. Il palazzo si propone come uno spazio da vivere, più che da vedere, come testimonia l’ampia piazza interna che accoglie il visitatore a livello zero e che è liberamente fruibile da chiunque, indipendentemente dall’accesso ai piani espositivi superiori.
Opera del pluripremiato architetto cileno Cristian Undurraga, che da anni riesce a coniugare un chiaro linguaggio moderno con un raffinatissimo uso di materiali naturali, il padiglione conferma ed esalta, se possibile, questa visione facendone un’architettura a tutto tondo, pur nella limitatezza e nella temporaneità di un padiglione espositivo. Un’interessante struttura in legno lamellare di pino definisce un parallelepipedo regolare sospeso da terra grazie alla presenza di sei pilastri a tre braccia in acciaio scuro. Questo oltre a concedere una certa monumentalità all’edificio, al tempo stesso, grazie all’uso pressoché totale del legno, ne declina un’indiscussa “familiarità”, favorendo lo scambio visuale e funzionale tra esterno e interno, tra spazio pubblico e spazio pertinenziale del padiglione, senza imporsi sul contesto eppure dichiarando chiaramente la sua presenza.
Il padiglione traduce in un linguaggio architettonico contemporaneo e in modo convincente quel paesaggio fatto di campi e prati, boschi distesi e declivi ondulati presenti in tanta letteratura tedesca di fine Ottocento. Si tratta di un edificio concepito come un pianoro in lieve salita, al cui interno troviamo l’esposizione tematica. Lungo il percorso spuntano piante stilizzate, per gli autori germogli di idee, che si arrampicano fino alla superficie esterna generando un ampio tetto di foglie che crea ombra sulla grande terrazza sopraelevata e aperta al pubblico. Questo è l’elemento unificante che lega spazio esterno e spazio interno, architettura ed esposizione. Le foglie sospese che lo compongono sono in realtà piccole celle fotovoltaiche organiche stampabili che contribuiscono all’alimentazione energetica del padiglione. Le celle, una volta stampate su una rete quasi impercettibile di elementi esagonali con diverse colorazioni, sono state integrate in una membrana con cui sono state realizzate le grandi foglie stilizzate.
Con la sua partecipazione all’Expo, il Giappone vuole proporre la propria cultura alimentare come esempio di nutrimento sano, sostenibile ed equilibrato, nonché come modello di integrazione fra uomo e natura. Armonia, Diversità, Tradizione, Innovazione sono i quattro concetti chiave su cui si fonda, a detta degli organizzatori, la costruzione della futura società giapponese. Gli stessi quattro concetti guida costituiscono, insieme ad un grande spazio interattivo, il percorso espositivo del padiglione. Le tradizionali tecniche giapponesi di costruzione in legno con il metodo di “tensione compressiva”, in cui i singoli elementi costruttivi sono collegati con sistemi di aggancio e giuntura per ottenere il necessario supporto, caratterizzano la struttura principale del padiglione. Unendo le tecniche costruttive tradizionali con l’analisi strutturale moderna, il padiglione è un esempio di architettura innovativa capace di esprimere appieno la fusione di cultura tradizionale e tecnologia avanzata.
ARGOMENTI
– Il Padiglione Italia di Maurizio Sacripanti al MAXXI – Pag. 106
– Urban Algae Folly. La copertura che coltiva microalghe – Pag. 108
– Il nuovo cantiere della Città della Scienza nell’area delle ex caserme di via Guido reni a Roma – Pag. 112
– Rigenerare le periferie urbane. Proposte e ricerche a confronto – Pag. 118
NOTIZIE – Pag. 120
LIBRI – Pag. 124
CALENDARIO – Pag. 126
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