Con il titolo di “Tracce”, questo numero della rivista presenta una raccolta di architetture di grande qualità, iscritte in un processo interpretativo della storia e della memoria che opera per accostamenti differenti, unendo il metodo razionale con quello emozionale.
Ciò che le accomuna è il fatto che i rispettivi progettisti abbiano riconosciuto nella tensione tra passato e presente un prezioso potenziale di ascolto; questo è in grado di attivare la storia e di renderla strumento fondamentale di proliferazione di idee e informazioni per il progetto, piuttosto che ridurla a una semplice tassonomia o a uno schema banalmente riduttivo. La città è composta di strati che si sovrappongono nella dinamica accidentale della storia, il progetto che interagisce con una preesistenza archeologica richiede la capacità d’interpretare un’origine profonda del sito mediante metafore spaziali che, scavando, consentono di ridefinirla alla luce del presente.
Il Neues Museum a Berlino di David Chipperfield (26) è senz’altro l’opera più significativa in questo senso, in quanto offre ai progettisti un’occasione unica di confronto su un patrimonio che riguarda la storia di un intero secolo e le contraddizioni insanate di un conflitto mondiale che ha lasciato cicatrici profonde nella cultura a seguire.
L’intervento lavora sulle tracce, le tiene in vita, mostra una compresenza di tempi nei differenti restauri, sino a salvare i segni dei proiettili della guerra. A Rafael Moneo, con il Museo del Teatro Romano a Cartagena (38), si deve invece la materializzazione dei principi legati al tema del passaggio e della soglia, risolta come collegamento fisico e spaziale tra i differenti livelli topografici della città. Sul tema, molto dibattuto, della copertura dei siti archeologici si confrontano l’intervento per la Villa Romana La Olmeda a Palencia (46), di Paredes Pedrosa Arquitectos, e quello per la Copertura del sito romano a Cartagena (52), dello studio Amann Cánovas Maruri. Nel primo caso si dimostra come sia possibile innescare un dialogo tra memoria e paesaggio fino a creare un’indissolubile unità; nel secondo, la copertura viene sfruttata per una nuova ipotesi spaziale che fa dialogare tempi storici e tessuti della città. L’archeologia, come scavo in sezione, fonde metafora e identità di una città come Roma.
Nel realizzare la nuova Biblioteca Hertziana (58), Navarro Baldeweg unisce la dimensione del recupero e l’ideazione di una nuova spazialità mediante un progetto che dialoga con la storia senza intenti nostalgici. Nel lavoro di Giovanni Maciocco il territorio è la carta del progetto. Il Museo del Restauro a Sassari (66) è in grado di far rivivere la struttura preesistente all’interno della nuova destinazione; il progetto come previsione ricostruisce la memoria, il restauro come azione archeologica ne restituisce una nuova identità. Infine, i temi dell’impronta, della traccia, del calco sono affrontati da Francisco Mangado nel Museo archeologico di Álava a Vitoria (72), un’opera da segnalare per le relazioni tra museo, archeologia, recupero e innesto nei tessuti storici; sul tema degli strati archeologici è João Luís Carrilho da Graça, con la Musealizzazione del sito archeologico Praça Nova a Lisbona (78), a offrire uno dei progetti più interessanti.
SOMMARIO
TRACCE – Pag. 4
Antonello Marotta
Il Neues Museum di Berlino ha rappresentato l’occasione unica per il progettista di lavorare sulla storia di una capitale. L’edificio, costruito su progetto di Friedrich August Stüler tra il 1842 e il 1855, in seguito ai bombardamenti del secondo conflitto mondiale, versava in stato di rovina. Per questo la municipalità indice un concorso internazionale vinto nel 1997 da David Chipperfield e dall’esperto in conservazione dei monumenti Julian Harrap. Chipperfield e Harrap lavorano secondo i dettami della Carta di Venezia, in un difficile lavoro di ricostruzione, di salvaguardia della natura materiale e spaziale della preesistenza. Il Neues Museum di Stüler è un edificio complesso, realizzato in collaborazione con il costruttore di ferrovie August Borsig, con tecniche per il tempo innovative, quali strutture portanti in ghisa e coperture alleggerite da anfore, come nella grande tradizione costruttiva romana. Il progetto, in questa complessità tecnologica, spaziale e di memoria, si muove in due direzioni principali: la ricostruzione delle parti mancanti, mediante mattoni di Brandeburgo di reimpiego, tali da evitare una distanza eccessiva dalla materia ottocentesca, e una reinterpretazione e ricostruzione dell’interno.
A Cartagena, in Spagna, i ritrovamenti del Teatro romano del I secolo a.C., nell’area della Chiesa di Santa María la Vieja, portano nel 1988 a una campagna di scavi dell’intera area archeologica. In seguito è stato indetto il concorso per un museo, in grado di valorizzare l’importante scoperta.
Il nuovo museo è un edificio compatto, mosso in facciata da leggeri slittamenti, che consentono l’ingresso della luce. È stato realizzato all’interno di un vuoto urbano nella cortina muraria a ridosso dell’antica Cattedrale. Gli ambienti sono ricavati mediante un lavoro di scavo, introspettivo, con spazi a tutta altezza. Il Palazzo di Pascual de Riquelme, realizzato con una facciata eclettica alla fine del XVIII secolo, viene recuperato e rifunzionalizzato ai fini museografici. All’interno sono localizzati il foyer, un bar, le sale espositive, un piccolo auditorium.
Il ritrovamento della Villa romana La Olmeda a Palencia offre a Paredes e Pedrosa Arquitectos l’occasione di affrontare il tema della musealizzazione di un sito archeologico. Il progetto è risolto con una copertura a sezioni arcuate e con la costruzione di un recinto in cemento per rendere la villa rurale, con le terme annesse, uno spazio complesso. L’area archeologica è inserita in un paesaggio pianeggiante, caratterizzato dai tracciati delle centuriazioni romane.
La soluzione è stata quella di potenziare la qualità dei ritrovamenti e dei mosaici, attraverso una copertura metallica, a maglie romboidali, che poggia su esili pilastri.
Il muro definisce lo spazio. Un sistema di passerelle si sovrappone alla pianta romana e nel mutare dimensione consente l’inserimento di funzioni per archeologi e visitatori.
In Spagna, a Cartagena, lo studio Amann Cánovas Maruri ha realizzato la Copertura del sito romano nel Parco del Molinete. La soluzione spaziale adottata dai progettisti ribalta il tema tradizionale della copertura, inteso come sistema elementare e funzionale. Gli architetti realizzano una struttura metallica traforata che genera, nell’area del foro, una nuova complessità urbana.
Il nuovo intervento intende creare legami tra la città odierna, intesa nella sua evoluzione, e quella archeologica. I diversi livelli temporali (romani, medievali, barocchi e ottocenteschi) vengono collegati attraverso la piattaforma sospesa, aerea e tridimensionale. Essa poggia su esili pilastri tali da non rovinare le antiche vestigia, mentre il piano romano è attraversato da una passerella in legno che consente la visita ravvicinata alla domus e all’impianto termale. La volontà è stata quella di ribaltare il processo archeologico dello scavo. Ora è la superficie del tetto che si plasma, si adatta, rientra e infine si piega, sino a cingere l’edificio che segna il limite dei ritrovamenti. L’involucro si ancora al tessuto edilizio, in un’integrazione tra l’archeologia antica e l’edificato comune.
Roma è per eccellenza il centro della storia archeologica. L’ampliamento della Biblioteca Hertziana di Juan Navarro Baldeweg ha offerto alcune nuove formulazioni. La biblioteca è parte del Palazzo Zuccari, edificio realizzato a partire dal 1590 da parte dell’artista Federico Zuccari, che aveva comprato, nell’area di Trinità dei Monti, un terreno per costruire la sua dimora e il suo atelier. Il sito a sua volta conteneva i resti ancora visibili della Villa di Lucullo e del giardino, realizzati attraverso un sistema di terrazzamenti, che aderivano alla topografia.
Navarro Baldeweg, in uno schizzo preparatorio, sintetizza l’idea di costruire l’ampliamento della Biblioteca attraverso un grande scavo, un catino di luce, in cui i diversi piani sono organizzati per terrazze che dialogano con lo spazio scenografico ricavato.
L’intervento insiste su quello che era il giardino della casa dell’artista, che ha visto in anni recenti la costruzione di aggiunte.
Eliminate le parti di scarsa qualità e ristabilita l’unità della corte, Navarro Baldeweg opera per rendere lo spazio la materia narrativa, mentre i vari livelli si dispongono per accogliere i tavoli da lettura e le librerie. Queste creano, in accordo al degradare in altezza dei piani, una sorta di facciata urbana, modellata dai libri.
Il Museo del Restauro a Sassari di Giovanni Maciocco nasce dal ripristino e dalla trasformazione di una struttura destinata a comprensorio psichiatrico, lasciata in stato di abbandono. La struttura esistente viene riconfigurata: spazi anonimi un tempo magazzini sono stati pensati come luoghi dell’esporre, laboratori del restauro, spazi di servizio e stoccaggio.
L’intervento diventa un’occasione di interrogarsi sul senso del recupero. Archeologia antica e industriale si combinano in un progetto che interroga e analizza le tracce del territorio. La materia del mattone a faccia vista viene conservata come a difendere questa teca della memoria, mentre nella grande corte viene innestato un corpo trasparente, che si apre interamente. È una sala espositiva, alta quattordici metri, con una sezione caratterizzata da un muro inclinato e da una passerella che consente di utilizzare lo spazio a doppia altezza, esaltando la percezione interna.
A Vitoria, città iberica che conserva un nucleo medievale di grande qualità, Francisco Mangado ha recentemente realizzato il Museo archeologico di Álava. Il nuovo intervento è pensato come una teca a protezione della memoria del luogo. Un corpo a elle è modellato a contatto con un edificio storico, il Palazzo di Bendaña (XVI sec.), che contiene al suo interno il museo di Naipes Fournier.
L’architetto utilizza per le facciate una materia antica come il bronzo, tale da creare nel contesto urbano un corpo scuro e compatto. Viene interrogata l’archeologia come dimensione dell’ombra, come riflessione sulla memoria che proteggiamo. Così l’edificio si mostra impenetrabile, difeso dalla pelle metallica scura, dove sono state svuotate ampie masse regolari che, come grandi cavità, fanno accedere la luce negli ambienti dedicati. Questi vuoti sono rivestiti di legno chiaro e, nel contrasto materico e cromatico con il bronzo, raccontano la dimensione molteplice della memoria.
La musealizzazione dell’intero settore comporta un’analisi delle stratificazioni archeologiche che includono l’area delle case islamiche, le rovine del palazzo del XV e XVI secolo e i resti dell’età del ferro. Un’assonometria chiarisce la scelta progettuale: un nastro che delimita il sito e realizza le coperture per i ritrovamenti dell’età del ferro e per i mosaici del Palazzo, che necessitano di essere protetti.
L’utilizzo dell’acciaio corten consente al progettista di allontanarsi dalla materia antica, per evidenziare i tempi differenti della storia. Mentre il perimetro è risolto come una superficie continua e complessa, João Luís Carrilho da Graça decide di ricostruire le case islamiche. Muri bianchi delimitano le abitazioni, realizzati sulle giaciture originarie. Ma i muri si staccano dal suolo, in modo tale che la ricostruzione appaia come un sistema galleggiante, sospeso nel tempo.
Nell’area del Tempio di Diana a Merida, un recente intervento di José María Sánchez García indaga il rapporto tra monumento e bordo della città archeologica e storico-moderna. Nell’area del foro romano il tempio si trova in buono stato di conservazione, mentre la città nella sua evoluzione ha inglobato le tracce antiche. Il progetto analizza la relazione tra archeologia e forma urbana.
La volontà è quella di costruire un nuovo limite in grado di riordinare la trasformazione edilizia e ricostruire nuovi rapporti per il sito archeologico.
È stato individuato, nelle fasi ideative, un sistema flessibile in grado di adattare la costruzione alla campagna di scavi, che prosegue durante le fasi di cantiere. Il risultato è una piattaforma, staccata dal suolo, alta due livelli, che consente di proteggere il suolo archeologico e renderlo accessibile. L’intervento mira a costruire vincoli e creare nuove possibilità pubbliche e sociali. L’edificio diventa un punto privilegiato per la lettura archeologica del tempio e del foro.
Il Matadero di Madrid è un insieme di strutture industriali realizzate tra il 1910 e il 1925. A partire dagli anni Settanta gli edifici iniziano a essere obsoleti e il complesso chiuderà definitivamente nel 1996.
Persa la sua funzione originaria di mattatoio, questa archeologia ha rischiato di diventare un relitto urbano abbandonato, come osserviamo in molte città. Fortunatamente la scelta di trasformare il Matadero in un luogo di produzione per l’arte contemporanea ha salvato la memoria e il destino di questa parte di città. Iñaqui Carnicero ha realizzato nella Nave 16 un intervento di grande qualità, costruito con la forza di un’idea semplice ed efficace. L’architetto individua il tema progettuale nel principio fisico e metaforico della porta. In tal modo, un sistema di grandi portali metallici, ruotanti su perni, consente di rendere flessibile lo spazio del macello, destinato a luogo per la diffusione e la produzione dell’arte.
ARGOMENTI
– Architetture in via di estinzione: l’ippodromo di Tor di Valle a Roma – Pag. 102
– Architettura disegnata a Roma – Pag. 106
– Immagine di Roma. La città ritratta da Giorgio Montefoschi – Pag. 108
– Concorso per la riqualificazione del centro storico di Carezzano, Alessandria – Pag. 110
– L’uso del legno in un intervento di edilizia sociale a Milano – Pag. 113
– “Triggering Reality”. Nuove condizioni per l’arte e l’architettura in Olanda – Pag. 116
NOTIZIE – Pag. 118
LIBRI – Pag. 122
CALENDARIO – Pag. 124