Il 1980 può essere considerato un anno decisivo per l’architettura in Marocco. È da questo momento in poi, con la nascita della Scuola Nazionale di Architettura, in gran parte composta da una nuova generazione di architetti marocchini di formazione europea, che nel paese ha inizio un processo di emancipazione dalla soggezione culturale verso l’Europa. Una generazione che mostra una particolare attitudine a rielaborare e a trasferire nel proprio territorio d’origine procedure culturali e tecniche apprese fuori. Questo numero dedicato all’architettura contemporanea in Marocco si pone come occasione per una riflessione sul tema del rapporto tra tradizione architettonica e urbana e linguaggi contemporanei. La selezione di opere presentate dimostra l’intenzione dei rispettivi autori di voler costruire un’identità contemporanea dell’architettura marocchina, creando un sottile filo rosso con la cultura tradizionale e il suo modo di concepire e vivere lo spazio urbano. L’impronta Moderna di queste architetture offre lo spunto per una riflessione sulle costanti che legano produzione attuale e identità locale. Emergono interessanti fenomeni di resilienza dell’evoluzione architettonica, di adattamento reciproco fra progetto e concezione spontanea dello spazio: da un lato sono rintracciabili i caratteri persistenti, dall’altro le variabili dovute al progresso culturale e tecnologico. Lontani dalle influenze dell’estetica high tech, nella scala, nello statuto dello spazio urbano, nella tecnica compositiva, gli esempi raccolti sono il frutto di una sensibilità contemporanea, aperta al mondo esterno, che ha saputo assimilare la lezione Moderna senza perdere l’imprinting mediterraneo.
MAROCCO, EUROPA. CULTURE, CITTÀ E ARCHITETTURA – Pag. 4
Roberto A.CherubiniMAROCCO MEDITERRANEO MODERNO – Pag. 12
Luca Maricchiolo
La definizione della nuova immagine urbana della grande trasformazione della Valle del Bouregreg che separa Rabat da Salé è affidata alla costruzione dei due fronti prospicienti il fiume nell’area compresa fra le due medine storiche. Situati sulla sponda destra, il Front Fluvial e il Front Marina inaugurano la realizzazione della prima sequenza del piano di trasformazione del territorio compreso fra la capitale e la città confinante, lanciato nel 2003 sotto le insegne dell’Aménagement de la Vallé du Bouregreg con l’obiettivo di una ricucitura del margine fluviale interno articolata in sei sequenze progressive che comprendono residenze, spazi pubblici, parchi e servizi.
Tessuto interno al perimetro definito dal Front fluvial e dal Front Marina, la Cité des Arts et des Metiers fa parte dello stesso masterplan per Bab al Bahr. Con questo costituisce un sistema unico che propone la coesistenza fra qualità diverse di spazi urbani. Se del quartiere di Bab al Bahr i due fronti rappresentano l’interfaccia con la metropoli, la Cité des Arts et des Mètiers ne costituisce lo spazio interno. La Cité des Arts et des Mètiers è pertanto complementare ai due fronti urbani attraverso i quali reinterpreta alcuni caratteri costitutivi del paesaggio urbano di Rabat-Salé. Da una parte il mosaico territoriale fatto di tessuti densi, finemente articolati all’interno e chiaramente definiti all’esterno, dall’altra l’idea della città a isolato, le cui prospettive sono suggellate dai punti di fuga offerti dalle emergenze storiche del contesto.
L’architettura del nuovo centro visitatori di Volubilis non è ipogea, né mimetica. Comprende le logiche costitutive dell’orografia naturale, date dall’alternanza fra terra e roccia di una superficie accidentata, e quelle dell’inserimento dell’architettura romana, formata da esili diaframmi su possenti basamenti. E in queste logiche inserisce un sistema complementare, le cui geometrie stereometriche sembrano completare l’andamento del suolo solcato dalle sostruzioni romane e i cui materiali ricalcano le temporalità del paesaggio.
L’aggregazione di volumi semplici e i potenti effetti chiaroscurali sono il tema guida del progetto dell’Ecole Supérieure de Technologies di Guelmin, attraverso un vocabolario asciutto e contemporaneo riconducibile all’eredità del Novecento. Le soluzioni compositive si concretizzano in un impianto elementare che genera nella ripetuta articolazione delle superfici e dei volumi un susseguirsi di spazi vuoti scolpiti dal sole, sempre diversi gli uni dagli altri. Una serie di volumi stereometrici di diversa scala si dispone ortogonalmente, secondo un impianto a pettine di chiara leggibilità, intorno a una spina vuota centrale sull’asse nord-sud nell’orizzonte piatto del paesaggio. Una successione di coperture lineari disegna le percorrenze nel vuoto centrale e ne enfatizza il carattere legando percettivamente fra loro i volumi circostanti.
Il progetto è un microcosmo urbano che trae dalle relazioni visive e logiche con il paesaggio la ragione della propria concezione. Una piccola città recintata, costituita di volumi puri che si accostano o si toccano secondo una precisa gerarchia di relazioni fra pieni e vuoti alle varie scale. Circondano il giardino centrale aperto alla visuale del paesaggio, costruendo l’immagine composita di una medina contemporanea. Vuoto strutturante è il grande giardino longitudinale, sulla direzione nord-sud. Intorno a questo, gli edifici disposti a pettine sono organizzati in sei aggregazioni, diverse per tipologia e scala, che descrivono un secondo sistema di spazi aperti. Trasversali al vuoto centrale, hanno un proprio ruolo strutturante, attraendo magneticamente le aggregazioni volumetriche ed articolandosi in un ulteriore livello di spazi di aperti.
Situato alla periferia della conurbazione di Rabat-Salé, il contesto entro cui si inserisce il centro sportivo è estremamente rarefatto e aspira alla dimensione di centralità di livello metropolitano attraverso la ricerca di un legame simbolico. L’assenza di un contesto architettonico strutturato e di emergenze paesaggistiche significative rende il progetto privo di riferimenti fisici con l’esterno e lo porta a essere costruito su logiche formative allegoriche, che richiamano in maniera quasi didascalica la struttura aggregativa dello spazio tradizionale. La posizione centrale, fra i vasti spazi aperti destinati a ospitare i campi di allenamento, porta alla scelta di addensare gli edifici senza disperdere le volumetrie sulla vastità del sito.
Ampliamento di una scuola preesistente, l’Ecole André Chénier, rappresenta a Rabat uno dei primi interventi nell’ottica della conservazione e dell’adeguamento dell’architettura storica a nuove funzioni. La scuola preesistente è situata in un isolato del centro storico disegnato negli anni dieci del Novecento e occupa un lotto in posizione eccentrica che ribatte il perimetro della forra sulla valle del Bouregreg. L’edificio, di epoca coloniale, è un volume a L che forma un fronte urbano compatto sulla strada retrostante e disegna uno spazio aperto unitario verso il fronte sul boulevard che costeggia il paesaggio fluviale. Il volume preesistente, ristrutturato e preservato nei suoi caratteri originari, viene integrato con i nuovi volumi senza intaccarne l’unitarietà morfologica e secondo criteri di differenziazione tra vecchio e nuovo.
L’intervento ospita due tipologie ricettive. Un asse trasversale definisce gli ambiti di accoglienza e distribuisce il lotto in due parti, organizzate in tipologie speculari, sebbene articolate diversamente. Due grandi corti aggregano le 166 camere d’albergo e i 28 appartamenti, proponendo un lavoro sul volume differenziato in base alla scala delle unità funzionali. Se da un lato la struttura è introversa e rigida, dall’altro i mini-appartamenti si dispongono in modo frammentario sul bordo del lotto, entrambi inseriti in un sistema verde che filtra l’introspezione e unifica le due tipologie. La struttura alberghiera, più lineare, è costituita da due grandi volumi a ballatoio quasi paralleli, collegati da tre elementi a ponte di scala minore, che definiscono un vuoto centrale articolato in due corti: la prima, più grande, ospita le piscine ed è il centro delle attività collettive dell’hotel; la seconda, più piccola, preserva una dimensione più intima per l’affaccio delle camere.
Lontano dalla densità urbana, il progetto propone una sperimentazione tipologica che ricerca la stessa logica di prossimità della città nella dimensione vasta del paesaggio. Nei territori fertili della regione di Marrakech, le residenze in coabitazione sono, infatti, a vocazione agricola, ideate come ibrido fra la realtà periurbana e la dimensione abitativa propria della città. Non alludono all’assoluto della fattoria, quanto all’aggregazione tipica dei villaggi rurali, che anticipa nella campagna la compattezza di un fronte urbano. Le scelte di progetto si giocano sulla possibilità di abitare il territorio agricolo con tipologie urbane e di cercare un rapporto osmotico fra architettura e paesaggio, conservando l’introversione propria dell’abitazione rurale.
Leggermente distaccato, ogni ambiente è un volume a sé stante, gravitante in uno spazio ristretto che compone l’ambito della villa. Quest’ultima, infatti, non appare come un edificio concluso ma come un insieme di parti cristallizzate nell’atto dell’aggregarsi, per lasciare permeabile e leggibile la struttura compositiva. Il grappolo di piccoli volumi parallelepipedi si ancora al terreno con cui è in continuità materica e cromatica. La costruzione sembra arcaica, con gli angoli smussati propri delle architetture in terra e le pareti scabrose, piene, massicce. Affiancati ma senza toccarsi, sei volumi concettualmente indipendenti, di dimensioni e altezze diverse, generano l’immagine di un unicum sgretolato, eroso dal vento e solcato dall’acqua. Due semi-ipogei, al livello inferiore, contengono due camere e un bagno, con un piccolo terrazzo affacciato sulla valle.
Liberamente disposte sul terreno, le parti della Maison Fobe sono disgiunte in elementi autonomi, legati solo dal colore bianco e dalla purezza geometrica, che descrivono un paesaggio metafisico. Parallelepipedi puri celano la propria ragion d’essere funzionale, si susseguono come elementi scultorei in un sistema a-compositivo che sembra accettare la casualità quale propria logica formativa. Il committente della Maison Fobe è un produttore cinematografico ed è al cinema che l’architetto dichiara il proprio debito creativo, al dinamismo della comunicazione che fra gli stretti vicoli delle medine invita l’osservatore alla pluri-prospetticità cubista. L’unico segno comune tra le differenti volumetrie è l’altezza. Di impianto rigido rispetto al dinamismo della percezione, il corpo principale è regolato da un tracciato a T quasi perfettamente simmetrico.
ARGOMENTI
– Un’infrastruttura idrica di nuova generazione: la diga multifunzione di Katwijk, Olanda – Pag. 92
– Bruno Munari: aria Ι terra. L’arte al servizio della collettività – Pag. 97
– “Lest We Forget – Emirati Adornment”. Un progetto di allestimento nella Warehouse421 ad Abu Dhabi – Pag. 98
– Una Smart Community tra pubblico e privato: l’asilo nella Cittadella dell’Innovazione a Pisa – Pag. 102
NOTIZIE – Pag. 106
LIBRI – Pag. 110
PANTOGRAFO – Pag. 111