In un periodo di crisi economica e in uno scenario socio-politico sempre più instabile appare particolarmente appropriata la filosofia che sottende alle architetture di questa rassegna italiana. Conclusa la stagione delle grandi trasformazioni urbane di cui l’architettura è stata protagonista dalla metà del secolo scorso in poi, lo scenario di riferimento è, oggi, completamente cambiato. Il territorio saturo di costruito, le scarse risorse economiche e ambientali, la compagine sociale di riferimento sempre più evanescente spingono l’architettura alla ricerca di una nuova misura capace di coniugare creatività e poetica con pragmatismo e buon senso. L’insieme delle architetture presentate in questo numero della rivista sembra recepire la necessità di questo cambiamento proponendo una via coerente e adeguata a esigenze, sviluppo e risorse disponibili in un territorio variegato e ricco di storia e valori ambientali come quello italiano. Si tratta di interventi alla piccola scala che si inseriscono in modo equilibrato in diversi contesti paesaggistici del nostro paese: dai piccoli comuni montani dove il problema, a causa del progressivo spopolamento, è individuare strategie di rilancio a scala territoriale, ma anche intervenire aggiornando il linguaggio architettonico in una logica di continuità con l’identità storica e antropologica della tradizione locale, alle aree residuali o di margine, da riqualificare e reinserire nei sistemi urbani definendone funzioni ed elementi di una nuova identità.
Il progetto s’inserisce all’interno del programma integrato “Albergo Diffuso”, promosso dall’assessorato al turismo della Regione Friuli Venezia Giulia e finanziato con fondi europei, al fine di recuperare il patrimonio edilizio rurale in disuso attraverso la promozione di una forma di turismo sostenibile fatto di piccole unità diffuse sul territorio, tra loro collegate sul piano funzionale, culturale e identitario. Piccole, nuove “comunità” capaci di rivitalizzare, ri-abitare parti del territorio alpino oggi abbandonate e in forte stato di degrado. Il progetto di Ceschia e Mentil s’inserisce in questo programma con grande consapevolezza e originalità facendone un esempio paradigmatico di
sensibile interesse.
Esito di un concorso a inviti rivolto ad architetti under 35, la nuova casa sociale per l’abitato di Caltron a Cles, in provincia di Trento, è subito diventata un punto di riferimento per tutti gli abitanti che hanno trovato nella nuova struttura un importante luogo d’incontro e di identità per l’intera comunità. Dal punto di vista dell’architettura l’obiettivo principale è stato quello d’integrarsi sia con i manufatti storici esistenti che con le trame dei frutteti che disegnano il territorio rurale di tutta la Val di Non. L’edificio è compatto e interamente rivestito in legno di larice. Le facciate nord e sud sono caratterizzate da doghe verticali, mentre i lati lunghi est e ovest sono scanditi da una successione di pilastri lignei, anch’essi in larice, al fine di diventare parte integrante del paesaggio e fondersi con lo sfondo dei meleti, fino a diventare una sorta di preesistenza familiare per tutti gli abitanti.
L’opera si inserisce nel quadro di una serie di operazioni sul patrimonio costruito che hanno determinato, nel giro di pochi decenni, la rinascita del piccolo borgo. A partire dalla metà degli anni ’80, la municipalità locale e l’iniziativa privata hanno scommesso sul recupero e rilancio del patrimonio edilizio come leva per la riattivazione del luogo e della sua comunità. Collocato nel cuore dell’agglomerato tardo-medioevale, il Centro Lou Pourton ospita iniziative intellettuali, didattiche e formative. Il nome dell’edificio rimanda direttamente a una tipologia insediativa locale: il termine pourton definiva infatti una percorrenza coperta che, ricalcando una curva di livello del terreno, consentiva l’accesso ad alcuni volumi costruiti a monte e a valle lungo la sua traiettoria. Similmente, la percorrenza centrale del Centro Culturale disimpegna, al piano terra e al primo livello, imponenti masse in pietra il cui spazio interno è dedicato a diverse attività.
L’edificio si colloca al centro di una piccola schiera in cortina situata sulla linea di massima pendenza della collina ed è chiamato a confrontarsi sia con le costruzioni rurali tra cui si insinua, sia con il paesaggio naturale della vallata prospiciente. Adagiata su un dislivello tra un prato e un bosco di castagni, l’abitazione si trova compressa tra i muri dei volumi adiacenti, di cui rispetta i tratti salienti ma al tempo stesso descrive un’immagine architettonica nuova attraverso l’ibridazione dei materiali del luogo con quelli provenienti da altre tradizioni, usi e tecnologie. Nella visione complessiva l’edificio non altera il paesaggio e assicura equilibrio e continuità con il contesto, anche se non gli è completamente omologo: il trattamento dei due prospetti così come il linguaggio della composizione architettonica denunciano subito la ricerca di nuove contaminazioni tra materiali e lessici differenti.
Su una piccola parte di un parcheggio di scambio, in un paesaggio bidimensionale marginale e senza pretese, nel 2014 l’amministrazione comunale di Cesano Maderno bandisce un concorso a inviti per la realizzazione della nuova velostazione, vinto da LFL Architetti. Lo studio lavora per trasformare la criticità in opportunità, realizzando un progetto che intende riscattare questo spazio elevandolo a luogo urbano di qualità. La riqualificazione passa attraverso due operazioni progettuali fondamentali: la definizione di un segno, di un bordo che individua uno spazio aperto preciso e riconoscibile, e l’inserimento, in questo nuovo ambito, di un piccolo oggetto trasparente destinato a ospitare la velostazione vera e propria. L’operazione prende forma attraverso la costruzione di un muro attrezzato e si concretizza attraverso il progetto di un piccolo manufatto, un deposito che ospita fino a 160 biciclette.
L’edificio, che assomma sei unità residenziali nella periferia di Sesto San Giovanni, si inserisce in una parte di città priva di qualsiasi memoria o spinta aggregante. Inoltre, è utile ricordare come l’intera area di Sesto San Giovanni stia da tempo rincorrendo una nuova identità, affidando oramai al passato la propria vocazione industriale. In questo contesto ‘fluido’ e disaggregante l’aspetto monolitico della costruzione e il ricorso a forme e materiali sedimentati nella coscienza degli abitanti, sono scelte che puntano a fare dell’edificio una possibile centralità di questa porzione di periferia. Le unità residenziali sostituiscono un fienile al collasso. Le normative che ne consentivano la demolizione imponevano però l’aderenza del nuovo edificio alla volumetria e ai materiali preesistenti. I progettisti hanno tramutato questo vincolo stringente in una risorsa creativa.
In controtendenza rispetto ai requisiti di leggerezza dell’architettura del ventunesimo secolo, gli edifici dell’architetto bresciano si caratterizzano per l’esibita materia di superfici cieche, l’ermeticità dei fronti, il vigoroso attacco al suolo. Un percorso nel quale si inserisce anche la recente villa Alps, aggrappata alla roccia di una radura in forte pendenza a 700 metri di quota nel bresciano, in prossimità del Passo del Cavallo, che unisce la val Trompia con la val Sabbia. Il sito abbraccia le ultime propaggini dell’abitato di Lumezzane. Da una parte lo sguardo corre verso la città e la vallata, dall’altro è circoscritto dal bosco e dalle creste delle montagne. La conformazione orografica del terreno e gli scorci visivi hanno dettato la disposizione degli ambienti. L’impianto irregolare dell’abitazione, stretta a ferro di cavallo attorno alla corte, è scandito dai tre corpi di altezza variabile.
Imponente oggetto materico di grande impatto emotivo che contrassegna lo spazio urbano adiacente, il Memoriale della Shoah occupa un’area di 40 mq nella piazza situata all’incrocio tra via dè Carracci e via Matteotti, sopra la stazione ferroviaria. Posto perpendicolarmente rispetto alle grandi pareti della piazza, il monumento si compone di due parallelepipedi di 10 x 10 metri, ciechi sul fronte verso la città e concavi al loro interno, rivestiti di acciaio corten non trattato. Uno di fronte all’altro, in maniera simmetrica, i due blocchi convergono interiormente fino a definire un unico percorso di attraversamento che da una larghezza di 1,60 metri si stringe fino a 80 centimetri. All’interno, nelle ore diurne, lo spazio tra i due blocchi è avvolto nella penombra, mentre la notte una luce intensa illumina l’intero percorso, amplificando il valore monumentale dei due volumi metallici. Questo accorgimento genera un’esperienza spaziale carica di tensione e pervasa da una sensazione di oppressione, esaltata ancor più da una griglia di lastre di 10 metri che, intersecandosi a 90°, formano angusti vani rettangolari in memoria delle buie celle dei dormitori dei campi di concentramento.
Il terremoto che nel maggio 2012 ha scosso l’Emilia non ha danneggiato soltanto numerose abitazioni ma anche edifici pubblici e scolastici. Nella ricostruzione si è distinto, per raffinatezza progettuale e perizia costruttiva, l’asilo nido comunale di Guastalla, progettato dallo studio Mario Cucinella Architects. L’edificio sostituisce i due precedenti nidi danneggiati dal terremoto. Lo studio Cucinella ha portato a termine altri progetti di ricostruzione di edifici scolastici post-sisma in Emilia, fra i quali, nel 2013, si segnala quello di Mirabello, in provincia di Ferrara, che condivide con l’asilo di Guastalla alcuni caratteri compositivi. La disposizione lineare degli ambienti in pianta, uno sviluppo volumetrico prettamente orizzontale, la scansione ritmica dei telai portanti della struttura sono elementi compositivi che Mario Cucinella ha messo a punto durante l’apprendistato presso lo studio di Renzo Piano, fra il 1987 e il 1992, e che sono rinvenibili in alcuni dei capolavori del celebrato maestro.
Il progetto della casa-studio e del pets recovery qualifica un tassello del paesaggio periurbano di Roma attraverso l’inserimento di un piccolo ibrido funzionale che propone la coesistenza degli spazi dell’abitazione e degli spazi del lavoro. La presenza di diverse attività si manifesta nell’organizzazione del progetto per parti, disposte entro il paesaggio naturale; nella tessitura di ulivi sul territorio lievemente scosceso della Sabina, il progetto inserisce un tracciato ortogonale che prevede l’inserimento di più elementi, dotati delle proprie gerarchie e relazioni. Caposaldo del sistema è il volume che ospita l’abitazione con annesso studio veterinario, situato in posizione dominante e strutturato da un muro compatto che lo cinge esternamente verso nord e si interrompe a sud per aprirsi verso il paesaggio.
La torre in contrada Boraco, situata sulla litoranea Taranto-Gallipoli, si trova a soli 250 metri dalla spiaggia e a 14 metri sul livello del mare. Il cantiere, iniziato nel 2010 e durato due anni, partiva da una situazione gravemente compromessa. La volta della copertura era collassata portandosi dietro i cantonali e parte della muratura. L’edificio poggia su un banco di roccia affiorante e si erge per 12,10 metri fuori terra. Saldamente radicato alla roccia con un piano terra “pieno” , il piano “nobile” è costituito da un unico vano di 5,45 metri x 5,60. La copertura a volta, con generatrice perpendicolare alla linea di costa, ora interamente ricostruita, sostiene la terrazza praticabile. Nello spessore dei muri perimetrali del piano superiore trovano spazio un camino, una scala marinara di accesso al piano della copertura e una cisterna alimentata dalle acque piovane.
L’architettura per la produzione si nutre necessariamente del dialogo tra macchina e territorio, laddove la macchina è espressione della funzionalità, “di parti conseguentemente connesse in base alla necessità produttiva”. Il territorio è il “grande contenitore”, l’insieme di tutti quei sistemi, quei tessuti, quelle realtà su cui un complesso produttivo si trova a intervenire. È anche però il risultato di quegli stessi processi che lo hanno generato e trasformato nel tempo contribuendo inesorabilmente a definirne l’identità. Su questi presupposti si fonda il progetto di Rango e Casciu. In questo senso gli edifici artigianali o agricoli e più in generale produttivi sono parte integrante della costruzione di un territorio proprio per il contributo che essi danno alla sua trasformazione, alle sue note vocazionali, al paesaggio.
Permeabile in ogni direzione e aggrappata ad un acclivio, la costruzione si inserisce lungo la traiettoria di margine della strada interurbana che lambisce la cittadella murata lungo il versante nord-est. Il complesso multifunzionale si offre alla città antica come varco di accesso e snodo, inserendosi come ultimo avamposto integralmente urbano in quel sistema che negli anni Novanta era stato individuato da Bernardo Secchi come una delle figure salienti del suo Piano Regolatore per la città di Siena: la Strada Fiume. Non una semplice infrastruttura viaria ma un meccanismo territoriale che mirava a connettere e sistematizzare gli insediamenti periurbani e a fornire la città storica di fulcri funzionali e punti di accesso lungo quel margine orientale da sempre percepito come “retro”. L’intervento di Nepi convoglia al suo interno molte delle funzioni della città, tendendo, di fatto, alla rappresentazione di un sommario di essa.
ARGOMENTI
– XXIII Triennale di Milano. 21st Century. Design After Design – Pag. 92
– Mobilità urbana: nuovi approcci ed esperienze – Pag. 89
– XV Biennale di Architettura. Reporting from Venezia Pag. 94
– Industrializzare l’edilizia. Le nuove condizioni di efficienza di un’edilizia capace di futuro – Pag. 100
– Gustavo Giovannoni tra storia e progetto: bilancio di una mostra – Pag, 104
LIBRI – Pag. 109
NOTIZIE – Pag. 110
PANTOGRAFO – Pag. 117
Questo post è disponibile anche in: Inglese