La città si amplia espandendosi e al tempo stesso cresce su stessa procedendo per aggiunte, inserimenti, sovrapposizioni, è la regola del suo sviluppo nel corso della storia. Questa modalità tipica dell’evoluzione urbana di ogni tempo, è tornata oggi al centro del dibattito architettonico come conseguenza di un’inversione di tendenza delle dinamiche sociali ed economiche che fino a poco più di un decennio fa erano basate sulla crescita della popolazione e degli insediamenti. Oggi, per ragioni ambientali, in difesa del valore del suolo e per ridotte disponibilità economiche, il progetto di architettura opera nella logica della ricucitura e dell’inserimento minuto nell’esistente. In questa logica, il contributo dell’architettura italiana nel panorama internazionale, come già messo in evidenza da Cino Zucchi in occasione della scorsa Biennale di Architettura di Venezia, è diventato particolarmente significativo in quanto l’attenzione e le capacità di intervento non si limitano solo al riuso e ampliamento di edifici nei tessuto storici, ma si allargano a interessanti soluzioni di innesto e rigenerazione dei vuoti urbani nelle condizioni più disparate. Il numero della rivista presenta una selezione di questi interventi, diversi per le localizzazioni, per le strategie e le scelte effettuate dai progettisti, ma tutti quanti animati da uno spirito fortemente pragmatico che si rivela molto stimolante sul piano inventivo con esiti architettonici di grande qualità. A cominciare dalla “Città del Sole” a Roma, complesso di residenze e servizi dello studio Labics che va oltre la pedissequa ricucitura delle numerose preesistenze circostanti per porsi come margine urbano permeabile. A Bari, Netti Architetti e Simeone Piloni progettano un volume per abitazioni che si innesta nelle maglie della griglia urbana disegnata dal Gimma nel 1812. A Treviso, il museo Bailo, progettato da Studiomas e Heinz Tesar, si inserisce nella preesistenza storica di un convento del XIV secolo con un gesto di sobria ed elegante esaltazione del nuovo. Infine, l’Istituto di riabilitazione a Porto Potenza Picena di Archea Associati, assume una valenza particolare nel rapporto con il contesto; i progettisti individuano raffinate soluzioni architettoniche e costruttive per proteggere i pazienti senza isolarli dal mondo esterno.
RIGENERARE IL TESSUTO URBANO: COSTRUIRE NEL COSTRUITO – Pag. 4
Giuseppe Saponaro
Il progetto si inserisce a Roma in un’area urbana oggetto di forti mutazioni. Infatti, con la valorizzazione della stazione Tiburtina e l’implementazione del suo edificio ponte, l’area del Tiburtino II da marginale diviene strategica. L’occasione progettuale è data dal concorso ristretto a inviti, vinto da Labics nel 2007, che aveva come obiettivo la valorizzazione del patrimonio di ATAC spa. L’area è quella occupata dalla vecchia rimessa dei filobus, 5.200 mq di edifici + 4.600 mq per il piazzale di manovra. Nel nuovo progetto viene integrata la parte esistente della volumetria dell’atrio di accesso al deposito. Il margine nord del lotto è costituito dall’espansione IACP degli anni ’30 del secolo scorso degli architetti Guido Guidi e Innocenzo Sabbatini. Il margine sud si confronta con aree artigianali fatiscenti, il sedime di una viabilità urbana veloce, con intricati svincoli e il perimetro murario del cimitero monumentale del Verano.
L’edificio si trova in una zona semicentrale di Milano in cui nei primi decenni del secolo scorso è avvenuta un’espansione urbana secondo un sistema di isolati destinati ad abitazioni inframmezzati da aree industriali e artigianali. Questo mix di abitazioni e centri produttivi di piccola e media scala è ancora presente oggi in zona Garibaldi e lungo la via Procaccini. Altra caratteristica di quest’area è la scarsità di verde e una saturazione assoluta del territorio con superfici edificate o lastricate dalla viabilità priva di alberature. Si tratta di un costruire tra il costruito generato dal vuoto che si è venuto a creare a seguito di una demolizione. Quello che è interessante di questa realizzazione è il tratto moderno di un’architettura in aderenza al costruito della prima metà del secolo scorso. Il tipo milanese a ballatoio, detto “ringhiera”, è la base di riferimento concettuale per i prospetti interni, mentre le norme tecniche attuative del Piano Urbanistico hanno governato le volumetrie e gli alzati.
La realizzazione si inserisce nell’ambito del centro universitario IULM (Libera Università di Lingue e Comunicazione) alla periferia meridionale di Milano. Un ambito urbano ben strutturato dai segni della viabilità, ma ancora sgranato ed eterogeneo, privo di gerarchie e rapporti chiari tra il costruito e le aree verdi. Il progetto degli architetti 5+1AA si assume la responsabilità di polo di riferimento non solo del campus IULM ma di un’intera parte di città. Dall’esterno l’elemento che diviene catalizzatore dell’intero campus è costituito dall’edificio torre capace di funzionare come richiamo o punto di riferimento non solo per i fruitori del campus ma per questa parte della città. L’obiettivo è appunto quello di offrirsi a un’utenza allargata quanto più possibile alla città circostante e non solo agli studenti e docenti del campus.
L’edificio, K19A, è un recupero di un garage dismesso con una copertura costituita da una successione di volte a botte. Si tratta di un progetto estremamente complesso risolto in pianta grazie all’introspezione degli affacci su patii interni a doppia altezza. Considerando che l’edificio recuperato è in gran parte intercluso fra gli altri fabbricati adiacenti, il prospetto principale, da cui captare quanto più possibile aria e luce naturale, è la superficie di copertura ad arco. Merita attenzione la connotazione dei materiali scelti a seconda delle varie situazioni. La copertura a botte è rivestita da lastre di zinco-titanio. I prospetti sono rivestiti in pietra friulana piasentina e intonaci tinteggiati di bianco e di rosso. Infine le pavimentazioni esterne dei patii e gli schermi brise soleil a essi prospicienti sono in materiale ligneo.
L’intervento, appartenente al tema del costruire nel costruito, è costituito da un sistema di due torri medievali affiancate a cui è stato aggiunto un nuovo corpo di fabbrica più basso.Obiettivo della committenza era di recuperare i manufatti medievali e riqualificare la piazza antistante. Per salvare un edificio storico dall’incuria e da un rovinoso stato di abbandono è indispensabile continuare a utilizzarlo. È stato questo il principio che ha innescato il graduale processo di recupero e riutilizzo. La destinazione d’uso individuata è quella di Biblioteca Civica. Questa funzione è stata articolata funzionalmente sui tre corpi di fabbrica, le due torri in pietra a facciavista adiacenti e comunicanti, di cui solo una completamente restaurata e consolidata, e il nuovo corpo di fabbrica, rivestito all’esterno di rame e superfici murarie intonacate, in cui si trovano ambienti di servizio e di distribuzione verticale. Nel progetto si aggiunge agli edifici una sistemazione porticata, con copertura “a scaglie”, da ubicare nella piazza antistante le torri medievali.
La nuova realizzazione presso via Volta è un caso esemplare di implementazione di una nuova costruzione in un intricato contesto urbano già consolidato. Il fulcro attorno cui ruota il progetto è una storica villa ottocentesca dalla compatta pianta quadrangolare. Il perimetro del lotto entro cui si attesta l’edificato è molto irregolare. Il programma di progetto prevede un doppio piano interrato per i parcheggi, un piano terreno destinato a superfici commerciali e abitative e ulteriori piani per abitazioni, ripartite in parte su 2 livelli e in parte su 3 livelli + attico. Quest’opera, pur essendo di dimensioni piuttosto ridotte, è un concentrato di interconnessioni a diverse scale, da quella di relazione con un edificio storico a quella di relazione con un programma multifunzionale che deve convivere coerentemente all’interno di uno stesso complesso di edifici.
L’intervento di Vittorio Longheu si inserisce in un contesto residenziale di grande pregio, incastonato tra due quinte di edifici tardo-rinascimentali. All’interno della superficie fondiaria di progetto si sono stratificate nel tempo varie costruzioni, che il nuovo intervento, pur con un linguaggio contemporaneo, si propone di armonizzare, proponendosi come l’ultima delle possibili configurazioni del lotto. Già dall’esterno, lungo il vicolo, la casa rivela una grande ricchezza di dettagli e materiali, cifra caratteristica tanto negli spazi pertinenziali scoperti quanto negli ambienti privati dell’abitazione. I toni delle facciate, suddivise in porzioni di diversa intensità cromatica, richiamano le tinte dominanti del contesto urbano. La scelta di ridurre la vibrazione plastica dei prospetti a un livello quasi bidimensionale conduce a effetti plastici nuovi; l’edificio prende le distanze dai fabbricati circostanti, i cui paramenti appaiono invece scolpiti da marcapiani, cornici e aggetti.
L’intervento si inserisce in un convento dei Gesuiti risalente al XIV secolo. Ubicato nel centro storico della città di Treviso, il complesso edilizio ospitava già dal 1889 un museo. Nel 2010 il Comune bandisce una gara con finanziamenti europei per la riqualificazione del complesso da destinare al museo di arte moderna Luigi Bailo. In realtà oltre al restauro degli edifici, viene realizzata all’interno di un piccolo cortile una galleria a tripla altezza. Il nuovo corpo di fabbrica assiale è un innesto architettonico tra la piazza antistante l’ingresso e il complesso museale. I progettisti sono stati capaci di operare, mediante un intervento minimalista di inserimento di un nuovo elemento architettonico, il raggiungimento di diversi obiettivi progettuali. Oltre all’efficacia spaziale e funzionale, la galleria-atrio passante è pensata, sul prospetto antistante l’ingresso museale fronteggiato dalla chiesa di Sant’Agnese, come elemento di relazione con la città grazie alla sua estrusione rispetto al piano del prospetto sud, ricostruito negli anni ’50 del secolo scorso in modo piatto e anonimo.
Il progetto di Archea è parte di un vasto programma di riqualificazione di tutto il complesso sanitario, sede dell’Istituto di Riabilitazione Santo Stefano di Porto Potenza Picena in provincia di Macerata, dove vengono svolte attività riabilitative in regime di ricovero ospedaliero ed extraospedaliero. Il progetto non comporta un aumento in numero di posti letto, ma una loro ridistribuzione in spazi più ampi e accoglienti. L’intervento si inserisce in un tessuto urbano tipico di molte località marittime affacciate sull’Adriatico, leggibile per fasce parallele alla linea di costa. La forma del lotto ha plasmato il padiglione nelle sue proporzioni strette e allungate. Un volume trasparente di tre piani, protetto per due terzi dell’altezza da una cortina sospesa di pannelli dai colori delle città di mare, ha preso forma nell’area, in poco più di due anni di cantiere. Un sentiero morbido disegnato tra colline di erba verdissima conduce alla hall della struttura, spazio scoperto ma protetto in cui sorge un albero, simbolo di crescita e rinascita.
L’intervento si colloca a 250 metri dalla piazza principale di Bitritto, in un lotto d’angolo, parte di un tessuto urbano compatto e caratterizzato dal susseguirsi di edifici eterogenei tra loro, per epoca di edificazione e qualità architettonica. Prima dell’intervento di trasformazione il fabbricato esibiva tutti gli elementi caratteristici dell’edilizia speculativa anni Sessanta e Settanta: balconi, ringhiere in metallo, ponti termici e rivestimento in listelli di laterizio, pilastri emergenti dalla copertura e predisposti per un’eventuale sopraelevazione. Anziché limitarsi a operazioni di compromesso nella riorganizzazione degli ambienti interni, i progettisti hanno optato per un intervento radicale, che trasfigura le condizioni del manufatto nel suo rapporto con la strada e la città. Un’operazione di scarnificazione della superficie esterna, fino a raggiungere la struttura portante. Intorno allo stesso telaio, la casa rinasce come volume netto, candido, rigoroso. Rispetto al fabbricato esistente, la residenza subisce un processo di “bunkerizzazione” volto a preservare la riservatezza della vita familiare.
L’edificio residenziale Picos_01è un progetto di sostituzione edilizia all’interno del tessuto consolidato della città di Bari. L’intervento sostituisce una preesistente costruzione a due piani priva di particolare pregio architettonico, ricompone il fronte stradale e colma lo spazio tra due edifici di matrice classicista dell’edilizia sviluppata nel cosiddetto “Borgo Murattiano” nel corso dell’Ottocento. Il nuovo impianto, opera di Lorenzo Netti, prevede un aumento di volume rispetto all’assetto originario; cinque piani collegati da un unico vano scala-ascensore che ospitano oggi 8 alloggi di metrature diverse, due per piano. Il tema della sostituzione connota fortemente l’ambito di intervento del progetto, la regola che allaccia l’innesto contemporaneo alla città è il ritmo della facciata scandita da cinque lesene verticali, sequenza che non spezza la continuità narrativa della cortina edilizia, pur nella sua dichiarata reinterpretazione contemporanea. Senza alcuna sporgenza rispetto al filo esterno delle costruzioni adiacenti, il progetto appare un edificio residenziale rigoroso e compatto che, con i suoi cinque piani, si allinea ai calpestii degli ultimi livelli delle costruzioni moderne.
ARGOMENTI
– La rigenerazione dei quartieri di edilizia residenziale pubblica. Corviale come progetto pilota – Pag. 98
– 21st Century. Design After Design. Riaprono le storiche esposizioni della Triennale di Milano – Pag. 105
– Concorso internazionale per la pianificazione urbanistica di Jinshan, Marina di Shanghai – Pag. 106
– Il Tabiat Bridge a Teheran – Pag. 110
NOTIZIE – Pag. 112
LIBRI – Pag. 116
PANTOGRAFO – Pag. 117
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