Tra i paesi un tempo afferenti al blocco sovietico e oggi in condizioni di crescita economica e culturale, la Polonia è il più esteso e il più attivo nel campo dell’architettura per l’intensa produzione degli ultimi dieci anni. Una serie di congiunture favorevoli, come i nuovi investimenti legati al suo ingresso nell’Unione Europea nel 2004, i progetti infrastrutturali su larga scala promossi dal governo, la possibilità di studiare e lavorare all’estero hanno contributo a formare una nuova generazione di professionisti, impegnati in progetti sperimentali in stretta collaborazione con le realtà locali. Il 2008 è un anno cruciale per la Polonia, che vince il Leone d’Oro per la migliore Partecipazione nazionale alla 11ª Biennale di Architettura di Venezia. Nel 2012, insieme all’Ucraina, la Polonia ospita il Campionato europeo di calcio, occasione determinante per dare avvio e sviluppare una rete di infrastrutture connesse all’evento. Infine, nel 2014, le nomine per il premio Mies van der Rohe individuano in questa nazione uno dei campi d’azione per l’eccellenza nell’architettura contemporanea. I progetti selezionati sono tre: il Museo della Slesia a Katowice di Riegler Riewe Architekten, la Filarmonica di Stettino dello studio Barozzi Veiga e il Museo della Storia degli Ebrei Polacchi a Varsavia di Lahdelma & Mahlamäki Architects. Dietro la nuova architettura polacca c’è la nuova classe medio-borghese, una categoria sociale che non esisteva prima del 1989 e che sente l’esigenza di affermare un gusto autonomo dando spazio alla sperimentazione. Questo numero de l’industria delle costruzioni presenta una selezione di progetti virtuosi, espressione di questa realtà culturale e sociale polacca che, grazie anche agli indirizzi dei governi locali, operano nell’ottica di una trasformazione urbana sapiente ed equilibrata, rispondendo a una domanda di necessità al fine di rivitalizzare le aree dismesse nel rispetto delle valenze locali. Sono tre i principali aspetti di interesse emergenti in questo panorama: la formazione internazionale e i riferimenti eterogenei, che vanno dall’Olanda all’Inghilterra, dei progettisti più giovani; la necessità di recuperare un’identità nazionale al di là di un’edilizia corrente pesantemente globalizzata e commerciale; l’impegno per un’architettura concepita come parte di un sistema e non come oggetto formalistico e autoreferenziale. Inoltre, va sottolineato che molte delle realizzazioni recenti in Polonia sono legate alla cultura e sono quasi sempre l’esito di concorsi nazionali o internazionali dove gli studi scelti, sono, spesso, al di fuori del consolidato star-system. Questi progetti, frutto di un impegno e di una volontà collettiva, sono intesi come interventi chiave per la rivitalizzazione di ambiti urbani dismessi o di parti di città in attesa di completamento.
PIANETA POLONIA – Pag. 4
Simone De Iacobis a Malgorzata Kuciewicz
L’ARCHITETTURA IN POLONIA DOPO IL 2010 – Pag. 4
Giampiero Sanguigni e Pierluigi Barile
L’Accademia si trova in un settore di città che negli ultimi anni ha visto sorgere diversi edifici dal carattere scientifico o culturale, come la libreria universitaria e il Centro Copernico. Il progetto dei Jems Architekci, inizialmente immaginato come uno spazio esteso, intendeva creare un nuovo episodio all’interno di questa struttura di luoghi dedicati alla cultura, immaginando un sistema che mantenesse, tuttavia, un certo carattere specifico e individuale. L’idea principale è stata quella di distaccare la nuova realizzazione dall’Accademia originale, creando un’ansa rispetto alla strada antistante, una corte che funzionasse come galleria urbana e pubblica, attraverso la quale il vecchio e il nuovo potessero traguardarsi. I due volumi, quello vecchio e quello nuovo, hanno un linguaggio diverso – di derivazione neoclassica per l’Accademia, più neutro e minimale per l’estensione – che si ricompone nella corte, dove la cesura diventa vetrata e permette un dialogo visivo.
La nuova Filarmonica di Szczecin si trova nell’area un tempo occupata dalla Konzerthaus, distrutta durante la seconda guerra mondiale. Il progetto di Barozzi Veiga ha idealmente completato il vuoto lasciato dalla preesistenza, attraverso un volume pieno i cui prospetti rimandano all’individualità delle residenze storiche, marcate dalla presenza eterogenea del susseguirsi dei tetti a falda. L’immagine che prevale non è tuttavia quella di un ricercato mimetismo ma quella di un’architettura dall’identità ambigua, che ricorda il contesto ma se ne distacca grazie a un colore tanto afasico quanto radicale e a un materiale, il vetro, trattato in modo da comunicare leggerezza ma, allo stesso tempo, capace di dare un’uniformità disarmante a tutto il progetto.
La Living-garden house è un’abitazione unifamiliare che innesca una stretta relazione tra gli spazi dell’abitare e l’immediato intorno naturale in cui questi si inseriscono. La tipologia con tetto a doppia falda in asfalto e il mattone faccia vista che caratterizza l’involucro, rimandano ai tradizionali insediamenti operai della Slesia, mentre la disposizione dei volumi, le trasparenze e le riflessioni e la ricerca di una continuità tra ambiti interni ed esterni, sanciscono il carattere contemporaneo del progetto. La dicotomia tra zone giorno e notte è il tema cardine che condiziona e determina le fattezze della costruzione, dalla distribuzione funzionale, alle scelte compositive, alle puntuali soluzioni materiche. Nel progetto gli spazi di servizio del pianterreno occupano un prisma parallelo alla strada, che scherma e isola il retrostante parco privato. Gli spazi del livello superiore invece definiscono un volume omologo che ruota di novanta gradi per disporsi perpendicolarmente sopra al primo e che, superandolo, si protende sul giardino.
La Cricoteka è il museo che raccoglie l’opera del pittore, scenografo e regista teatrale polacco Tadeusz Kantor. La Cricoteka prende il nome dal gruppo “Cricot”, fondato dallo stesso Kantor nel 1955, un collettivo che per circa 40 anni ha rappresentato una delle massime espressioni del teatro indipendente del ‘900. Il museo è un oggetto galleggiante, sagomato per dialogare con la preesistenza: il vecchio quartiere operaio di Podgorska a Cracovia. La scelta è stata quella del dialogo piuttosto che della demolizione. Il nuovo centro è un oggetto che si insinua e convive con gli edifici sottostanti. Mentre nell’opera del regista polacco l’ibridazione era più mimetica, il lavoro di MoonStudio e IQ2 Konsorcjum cerca una giustapposizione sorprendente in cui il dialogo avviene per contrasto, in un rapporto stridente tra i due linguaggi, quello tradizionale e quello contemporaneo.
Katowice è il centro principale della Slesia, un’area che per oltre un secolo è stata uno dei principali distretti minerari e industriali del centro Europa. La città sta vivendo un rinnovato sviluppo urbano, incentrato soprattutto sul recupero del patrimonio archeo-industriale esistente, reso possibile grazie agli investimenti dei fondi strutturali europei. I nuovi interventi sono, principalmente, a carattere culturale e vanno dalla scala locale (centri culturali, biblioteche) a quella nazionale (come nel caso della nuovo edificio per concerti sinfonici e il nuovo museo della Slesia). È questo il contesto in cui nasce nel 2011 il progetto del nuovo centro civico di Rafal Mazur, realizzato in un quartiere situato in un’area prevalentemente residenziale, a Nord-Ovest rispetto al centro cittadino. L’intervento è immaginato come un innesto gentile, calibrato sulle dinamiche e sulla morfologia del quartiere.
Il centro Sluzewski nasce da un concorso pubblico del 2008 per sostituire il precedente centro culturale del quartiere: un edificio dall’aspetto rurale e difficilmente accessibile, più che un edificio pubblico destinato alla cultura e all’educazione, ma la cui posizione strategica tra la città intensiva e l’inizio della campagna costituiva il filtro ideale tra due ambiti ben distinti. E’ stato così premiato il progetto che cercava di trattenere alcune delle caratteristiche che si erano stratificate nell’immaginario dei residenti, ossia la natura rurale del luogo e il suo aspetto parcellizzato. L’idea dello studio 307Kilo interpreta in un linguaggio attuale le caratteristiche formali della preesistenza migliorando la dimensione pubblica dell’intervento, programmando un fronte accessibile direttamente dal lato del quartiere residenziale ed enfatizzando il carattere transitorio del progetto, facendolo diventare un passaggio architettonico tra l’area urbanizzata e il parco retrostante.
Nato nel 1930 e immaginato come centro culturale deputato a tramandare la storia della Slesia, il Museo venne distrutto durante la seconda guerra mondiale e ospitato per un ventennio all’interno di un ex-hotel neoclassico, il Grand Hotel Vienna. Dopo il 2000 l’amministrazione ha cercato un’area dove fosse possibile realizzare la sede definitiva del nuovo Museo e la scelta finale è caduta sull’area dismessa della ex “Zeche Katowice”, abbandonata nel 1994. Il sito industriale, con i suoi edifici in mattoni e le strutture in acciaio, è stato trattato dagli architetti vincitori del concorso come uno dei reperti esposti nel museo, una grande opera umana che racconta la storia della città. L’intero programma funzionale del Museo è stato dislocato nel sottosuolo, mentre l’altura soprastante è diventata un grande parco pubblico.
Il Museo è adiacente al monumento che celebra la rivolta del ghetto di Varsavia e si trova nel cuore del vecchio quartiere ebraico di Muranów. Il nuovo edificio, un parallelepipedo levigato con una facciata luccicante, è posizionato in asse con lo spazio antistante il Memorial. Visto dall’esterno appare come rispettoso del contesto in cui è inserito, compatto e incastonato nel verde, impostato per enfatizzare gli aspetti positivi della sua introversione. Uno degli spazi più significativi dell’edificio è la sala d’ingresso, trattata come se fosse l’antro di una caverna. Le soluzioni formali degli interni, dal carattere espressivo, richiamano una serie di analogie naturali: un canyon, un burrone, un’onda incurvata, una grotta. Per alcuni visitatori il vuoto drammatico della fessura simboleggia la biblica Yam Suf, la separazione delle acque del Mar Rosso o il passaggio dal passato all’epoca attuale, per altri rappresenta la rottura causata dalla Storia.
L’edificio è situato all’incrocio tra la Lowicka e la Madalinskiego street, in un quartiere dei primi anni Venti del Novecento, caratterizzato da edifici di sensibile qualità architettonica. Per questa ragione se da un lato è stata scelta una volumetria semplice, rettangolare, che non imponesse la sua presenza nel contesto pur dichiarandone la distanza temporale, dall’altro sono stati adottati materiali di rivestimento che richiamassero, per qualità e cromatismi, quelli tradizionali del quartiere. Un interessante uso di cristalli insieme con una reinterpretazione contemporanea di materiali della tradizione e una composta volumetria pongono così l’edificio in una condizione di “limbo” temporale, tra passato e futuro, fortemente voluta dai progettisti. Dal punto di vista funzionale l’edificio è costituito da dodici appartamenti, un piano terra commerciale e un parcheggio interrato.
L’Università di Katowice si trova di fronte a un settore urbano che è stato oggetto di una profonda metamorfosi negli ultimi anni. A poca distanza dal famoso Spodek – la grande arena brutalista costruita negli anni ’70 – sono sorti il Centro Congressi per 10.000 posti (progettato da JEMS Architekci), il Museo della Slesia (di Riegler Riewe Architekten) e l’edificio della Radio Symphony Orchestra (di Tomasz Konior). La nuova biblioteca degli HS99 nasce in questo contesto iperdinamico ed è situata all’incrocio tra i due assi principali del distretto universitario. È il primo atto di una risistemazione più ampia, che conta di strutturare gradualmente l’intera area, riorganizzando un tessuto disomogeneo e fornendo agli studenti un punto di riferimento, fisico e culturale al contempo. Le dimensioni della biblioteca sono state determinate prendendo come riferimento l’altezza media degli altri edifici del Campus universitario.
Il progetto si trova a breve distanza da una foresta, elemento che ha determinato molte delle scelte alla base del progetto tra cui il posizionamento delle funzioni all’interno delle case, la disposizione delle bucature e la sagomatura stessa dei profili degli edifici. Le tre case, disposte lungo un lotto molto stretto caratterizzato da una leggera pendenza, sono state distanziate il più possibile e servite da una rampa di accesso laterale parzialmente interrata, nascosta alla vista dei passanti. Ogni casa ha i prospetti longitudinali rastremati, con una pendenza divergente rispetto all’inclinata del terreno. In questo modo le case hanno prospetti dimensionalmente diversi e la testata guarda verso la foresta o verso lo spiovente della casa antistante trattato a verde in modo da essere in continuità con il prato circostante. Ad oggi sono state realizzate due delle tre case previste.
ARGOMENTI
– Riqualificazione urbana e sostenibilità. Il nuovo Centro Culturale di Rosignano Marittimo – Pag. 94
– Pedalare nel cielo delle città – Pag. 99
– La scala come tema compositivo. I memoriali di Giuseppe Terragni – Pag. 102
– L’architettura della verità tra realtà e interpretazione – Pag. 106
– La nuova Terrazza della Triennale di Milano – Pag. 108
NOTIZIE – Pag. 110
LIBRI – Pag. 116
INDICE – Pag. 119
CALENDARIO – Pag. 124
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