26 Ottobre 2024

Dimitris Pikionis e l’Acropoli di Atene. Settanta anni di un cantiere memorabile

dalla rubrica PAESAGGI a cura di Annalisa Metta

Nella primavera 2024 ricorrono i settant’anni dall’avvio di uno dei più straordinari cantieri europei del Novecento. È infatti una mattina di maggio del 1954 quando Dimitris Pikionis convoca sulla sella tra l’Acropoli di Atene e la collina di Filopappo la squadra che costruirà il suo progetto più noto e sontuoso, il sistema dei percorsi di accesso a quei due siti monumentali della città, tra i più importanti nella intera storia della umanità tutta. Sono circa trenta, tra mastri cavatori e scalpellini provenienti dall’isola di Nasso, artigiani posatori ateniesi che lui stesso ha accuratamente selezionato, alcuni studenti dell’Accademia di Belle Arti e infine un gruppo di studenti dell’Università Tecnica di Atene. Alcuni, tra loro, diventeranno figure di spicco dell’architettura greca nei decenni successivi. La storia di quel mattino memorabile e di quelli che seguirono sino alla chiusura del cantiere, nel febbraio del 1958, è stata raccontata dagli stessi protagonisti in diverse circostanze; tra le tante testimonianze, il saggio di Antonakakis è Papageorgiou, “The Acropolis Project, May 1954 – February 1958” nel volume a cura di Agni Pikionis Dimitris Pikionis, The Landscaping of the Archeological Site Around the Acropolis (1994). I racconti convergono nel ricordare lo sgomento degli inizi: Pikionis non dà indicazioni su dove cominciare con i tracciamenti, neppure ha con sé disegni che indichino la posizione esatta delle traiettorie che il percorso dovrà seguire; men che meno ha predisposto disegni esecutivi riguardo l’apparecchio delle pietre lungo i sentieri. Spiega che ha le idee molto chiare su quale sarà il risultato finale, ma al momento non dispone di alcuna certezza sui modi con cui raggiungerlo. Quel che sa è che bisognerà osservare con estrema attenzione il luogo e da lì trarre geometrie e regole, suggerimenti e orientamenti. Ed è così che si comincia e si prosegue per quasi quattro anni, in un cantiere che tutti i partecipanti ricordano come epico, per la gioia del risultato e per la fatica di ottenerlo.
Pikionis elabora man mano disegni di dettaglio di grande bellezza e accuratezza che porta con sé in cantiere affidandoli al gruppo di operai, che nel 1957 sono nel mentre triplicati. Li consegna nelle loro mani come mappe da interpretare e riscrivere, secondo i casi, accogliendo variazioni legate a circostanze accidentali, oltre che alla loro creatività. È noto che, dinanzi alle domande di chi gli chiedesse come disporre le lastre di pietra, egli fosse solito rispondere: “fallo come sai farlo, verrà benissimo”. Spesso va proprio così, ma non è infrequente che egli faccia smontare interi lunghi tratti quando non convinto del risultato. Ciò che sorprende ancora oggi è che l’assoluta varietà della disposizione e la libertà delle soluzioni sempre diverse si incardinano all’interno di una sintassi compositiva perfettamente leggibile, fatta di ritmi, sequenze, allineamenti che, pur non essendo mai ripetuti, pur tuttavia seguono un impalcato chiarissimo: è come si riconosce una lingua nella sua struttura grammaticale nonostante accenti o inflessioni peculiari. Tutto questo si incardina entro una relazione con gli elementi sia della geografia sia della storia, talmente radicata da rendere spesso ambigua la distinzione tra affioramenti rocciosi trovati, preesistenze archeologiche e nuovi interventi: il risultato è una continuità fatta di fusioni e contrappunti.
Questo articolo è pubblicato in l’industria delle costruzioni 495 -Premi IN/ARCHITETTURA 2023 – giu/nov 2024
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