20 Luglio 2023
Dopo Sant’Elia, la riedizione dell’opera originale pubblicata nel 1935
Alcune figure intellettuali appartenenti
alla prima metà del Novecento italiano sono
classificabili come performers nella misura in
cui ne identificano i tratti, i valori, le poetiche e
compongono – nella reciproca
complementarietà – la narrazione che alimenta
la nostra memoria. Questa riedizione (la
seconda dopo quella del 1986) si apre con i
ritratti di Antonio Sant’Elia (1888-1916),
Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) e
Giulio Carlo Argan (1909-1992); un “casting
visuale” a cura di Luca Del Baldo
(www.lucadelbaldo.com) e si completa con il
delicato ricordo di Edoardo Persico (1900-
1936), curatore della selezione dei testi
originali.
Nell’ottobre del 1930 si inaugura a Como la
mostra dedicata all’architetto futurista Antonio
Sant’Elia, caduto a Monfalcone nel 1916;
la stessa poi si sposterà prima a Milano
(Galleria Pesaro) e poi a Roma (Palazzo delle
Esposizioni). Per ricostruire la memoria
dell’eroe – Marinetti, nominato nel 1929
accademico d’Italia, coinvolge un giovane
promettente, tal Escodamè (Michele Leskovic,
1905-1979), insieme ai fedelissimi Prampolini
e Fillia (Luigi Colombo), inserisce a catalogo il
testo Sant’Elia e la nuova architettura, già
pubblicato sulla Gazzetta del Popolo di Torino
nel gennaio 1929, propone alla città la
costruzione del monumento ai caduti nel primo
conflitto mondiale ispirato al disegno della torre
faro di Sant’Elia. Guidato dalla geniale concezione plastica di Boccioni e dalla regia poetica di Marinetti, il
comacino Sant’Elia, fin dal 1914, aveva
“magistralmente” tracciato le linee (nel vero
senso della parola) dei nuovi organismi urbani e
della linfa che in essi deve scorrere.
Finalmente una città nuova in cui – in continuità
narrativa alle utopie storiche – si presentano gli
elementi dello spirito futurista: fluidità di
comunicazione (il dinamismo), retorica
monumentale (il simbolismo teatrale),
percezione tecnologica quasi multimediale
(diremmo la sinestesia) e come esito implicito
la competizione/alienazione/avventura che
l’uomo contemporaneo intraprenderà.
Il sistema culturale del Ventennio fra
propaganda e mercificazione, l’una promossa
dal regime e l’altra accettata dagli operatori, accoglie generosamente Sant’Elia come
simbolo epico di cui lo stesso Marinetti
testimonia l’eroismo in battaglia e ne legittima
l’evocazione servendosi di architetti e artisti, fra
i quali anche Prampolini e Sartoris, che
promuovono le gesta di Sant’Elia in architettura
e urbanistica.
A sinistra, Luca Del Baldo, Antonio Sant’Elia, olio su tela, cm 100x50 (2013). Al centro, Luca Del Baldo, F.T. Marinetti, olio su tela, cm 30x40 (2022). A destra, Luca Del Baldo, Giulio Carlo Argan, olio su tela, cm 30x40 (2022)
Il (compianto) movimento futurista stretto nel
“mortale abbraccio fascista” (A. Bonito Oliva,
2010) ha così costruito il mito italiano la cui
visione è eretta a esemplare origine della
nascente architettura moderna internazionale.
Quello dell’architettura si rivelerà però un
terreno assai accidentato (non l’unico) per le
suggestioni futuriste che, come tali, non
riescono a compiersi completamente: la metafora del tempo tratta dallo scandire
delle pulsioni meccaniche (la rivoluzionaria
macchina … da guerra …) fatica a trascendere
lo spazio euclideo e inevitabilmente si impiglia
nelle pescose reti dell’espressiva spiritualità,
della classicità geometrica, dell’incombente
attrazione per lo stile (magari quello definito
“mediterraneo”).
Tra gli anni Venti e Trenta la galassia
marinettiana che transita dal secondo
futurismo al polimaterismo aeropittorico (e suoi
“derivati”), sostenta posizioni “effimere” fra
esposizioni, pubblicistica e teatro, mostrando
ordinata complicità rispetto al clima
propagandistico e insieme anarchica attenzione
allo zeitgeist internazionale. Nello stesso periodo si tessono anche altre
storie: nuove, o solo diverse, voci animano il
mondo artistico soprattutto attraverso le testate
più o meno specializzate e/o organicamente
identitarie. Si ricordano fra le altre: Architettura
e arti decorative del Sindacato architetti, con
referenti Piacentini e Giovannoni; Rassegna
italiana, dove si pubblicano fra il 1926 e il 1927
gli scritti del razionalista gruppo 7 con Terragni
etc; Quadrante di Bardi-Bontempelli attivo dal
1933 al 1936, Critica Fascista (1923-1943) e
poi Primato (1940-1943) e ancora Le arti
(1938-1943), tutte riconducibili alla regia di G.
Bottai; Stile futurista (1934-1935) e La città
nuova (1934-1935), entrambe pubblicate a
Torino e in capo soprattutto a Fillìa e Prampolini.
Enrico Prampolini, bozzetti per un monumento ai caduti nel primo conflitto mondiale ispirato al disegno della torre faro di Sant’Elia
Per buona parte degli anni Venti è innegabile il
presidio del binomio Sarfatti-Bottai che, seppur
disgiuntamente e con diverse finalità, tendono
a federare il mosaico artistico in una compagine
orientata a un’espressione figurativa
ecletticamente retorica, ora rivolta a un
composto classicismo ora verso un primordiale
monumentalismo.
La voce di Casabella, fondata da Guido
Marangoni nel 1928, entra nella famiglia
Mazzocchi (già editoriale Domus) nel 1933 con
i condirettori Giuseppe Pagano ed Edoardo
Persico e con la segreteria redazionale retta da
Anna Maria Mazzucchelli, quest’ultima dal
1939 coniugata Argan. Per Persico è un
“osservatorio” architettonico nazionale ed
europeo che finalmente gli consente – in forma
diretta o attraverso numerosi suoi sodali – di
veicolare le proprie tesi che partendo dalla
critica d’arte terminano alla militanza
antifascista. La figura fragile e volitiva dell’intellettuale
napoletano caratterizza sensibilmente la quota
critica della rivista, la stessa alimentata da
contributi esterni di architetti, poeti, artisti,
critici, che insieme sembrano consolidare a
distanza i concetti trattati dallo stesso autore
nel “punto ed a capo sull’architettura” e nella
“profezia dell’architettura”, conferenza tenuta a
Torino nel 1935. La generosa ricerca dei caratteri dell’uomo in
ogni forma creativa conduce Persico alla
vocazione epidermica verso l’argomento
prioritario dell’artisticità della vita e
dell’estetica delle sue rappresentazioni.
Sviluppi conseguenti nella comunicazione –
quelli di Persico – diremmo già “faticosi”, resi
più complicati dall’aridità del contesto politico
che dal 1935 va deteriorandosi (dalla conquista
dell’impero alla promulgazione delle leggi sulla
razza); tuttavia i saggi raccolti nel Dopo
Sant’Elia (1935) trasmettono nell’insieme
fervido ottimismo e oculata concretezza, tali da
rendere ancora interessante una riedizione
arricchita da apparati assemblati per
riconoscerne sia il valore documentale sia per
ricostruire contenuti in sequenza critica e
cronologica. Tra questi: la prefazione di
A. Longatti con una personale disamina
dell’approccio verso il tema A. Sant’Elia e sua
opera, dimostrato da G.C. Argan prima
attraverso il saggio del 1930 e poi nel 1962 alla
conferenza (di cui si pubblica per la prima volta
il testo integrale) tenuta a Como in occasione
della prima antologica santeliana originata dal
quasi totale acquisto da parte del comune di
Como dei disegni di Sant’Elia, estratti dal
catalogo della mostra del 1930. Principale ispiratore è il giovane Argan (1909-
1992) che ancor prima della laurea pubblica su
L’arte (1930) “il pensiero critico di Antonio
Sant’Elia”.
A sinistra, Fortunato Depero, Padiglione del libro, Triennale di Monza, 1927. A destra, Enrico Prampolini, Padiglione futurista all’Esposizione del decennale della vittoria, Torino, 1928
Per lui l’applicazione
didattico/ortodossa del pensiero storicista
crociano contempera sia la ricerca
dell’artificialità sia l’immaginaria fantasia della
concezione santeliana (il nuovo paesaggio
urbanizzato) ma ne rifiuta l’essenza: non si
tratta di “arte ma solo aspirazione all’arte”.
Così come il termine razionale nell’accezione
economica e pratica è da ritenersi ancora non
compatibile e integrabile nel rigore etico e
culturale dell’arte autentica. Argan “percuote”
il pensiero sensibile dell’esponente del
futurismo (movimento a cui sarà sempre
discretamente indifferente e cortesemente
contrario) e lo “ingabbia” nel metodo
pedagogico/morale Bauhaus, da lui stesso
descritto nel celeberrimo testo del 1951. Sarà
lo stesso Argan che a Como, nel 1966, invitato
da A. Longatti (autore della prefazione) e
L. Caramel (1935-2022), riprenderà il filo, sia
per rivalutare la qualità grafico-stilistica dell’intera raccolta dei disegni e accogliere
l’architetto comasco nell’élite dei pionieri della
disciplina con Wright e Terragni, sia per riaprire
una prolifica stagione di studio sui protagonisti
lariani da Futurismo a Razionalismo e
Astrattismo. Significativa esperienza – come traspare dalla
storia degli autori – è quella della scuola
torinese a cui appartengono Lionello Venturi, maestro di Argan ed esule in Francia dal 1932,
lo stesso Argan e Carlo Levi. A Torino si
sviluppano iniziative come l’esposizione del
decennale della Vittoria nel 1928 diretta da G.
Pagano e nascono protagonisti come A. Sartoris
(1901-1998) che dedicherà una lunga vita ai
numerosi talenti artistici del Novecento
divulgandone opera e pensiero. Il Dopo Sant’Elia nel panorama della letteratura
architettonica del Novecento non solo
esaurisce il racconto magico di Persico, che si
tramanderà attraverso i numerosi discendenti
diretti e acquisiti15 anche dopo la sua
misteriosa morte nel 1936, ma insieme
consolida ed estende lo spazio critico
dell’architettura come atto tecnico-artisticosociale,
che oltre a catalizzare pubblicazioni
divenute degli intramontabili cult
internazionali, comprenderà il dibattito
teorico esteso a tutti i territori estetici (dall’arte
pubblica, al design industriale fino alla moda)
determinando un globale clima fertile e ricco di
propizie occasioni.
A sinistra, Antonio Sant’Elia, edificio monumentale, fondo Sant’Elia, Musei Civici Como. A destra, Antonio Sant’Elia, disegno della torre faro, fondo Sant’Elia, Musei Civici Como
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