6 Febbraio 2023
La riqualificazione degli spazi “aperti” all’assemblea annuale di Ance Alessandria
“Rigenerare” sembra ormai essere
l’espressione chiave, sintetica e
onnicomprensiva, per parlare di progresso e
buone pratiche nella gestione dello spazio
costruito. Che si tratti di città o aree
metropolitane, periferie degradate o aree
ex-industriali, persino di centri storici o zone
periurbane in parte scampate all’espansione
edilizia, l’idea di guardare allo spazio costruito o
antropizzato attraverso il filtro della
rigenerazione emerge quasi come una soluzione
preconfezionata, valevole anche in assenza di
una sua invece indispensabile declinazione.
Senza precisare cosa e soprattutto come,
l’azione del rigenerare rischia infatti di ridursi a
un motto, lontano dalla progettualità e dai suoi
strumenti, se indistintamente evocato.
A tal proposito è incoraggiante osservare come
l’assemblea annuale dei costruttori edili della
provincia di Alessandria, che si è svolta lo scorso
24 novembre presso la sede del teatro civico di
Tortona, proseguendo i lavori del precedente
convegno incentrato sulla rigenerazione urbana
in relazione alla logistica, abbia affrontato il
tema declinandolo questa volta in relazione agli
spazi aperti.
Il concetto stesso di rigenerazione, designando
programmi di recupero del patrimonio edilizio
esistente ad ampia scala tesi alla qualità e alla
sicurezza dell’habitat umano, presuppone in
primo luogo una limitazione o ancor meglio un
azzeramento dell’uso della risorsa territorio.
Da non confondersi con il rinnovamento urbano,
con le operazioni di demolizione e ricostruzione
a carattere più o meno speculativo, la
rigenerazione implica, necessariamente,
azioni mirate al miglioramento del patrimonio
edificato – e più in generale dell’ambiente
urbano e urbanizzato preesistente – dal punto di
vista architettonico, ambientale, ecologico,
sociale, in modo da determinare in esso un
complessivo innalzamento della qualità della
vita.
Il concetto è inscindibile dalla tematica del
consumo di suolo, quest’ultimo da non
intendersi esclusivamente come sedime di una
volumetria edificata, ma più in generale come
sedime delle azioni urbane che a ben vedere si
svolgono anche, se non soprattutto – almeno in
termini quantitativi –, su di una superficie non
necessariamente occupata da costruzioni ma
destinata piuttosto ai luoghi della mobilità, del
trasporto, del verde: luoghi e spazi aperti.
Il convegno ha voluto dunque approfondire il
concetto della rigenerazione in relazione a
quegli spazi “altri” che, quanto quelli edificati,
determinano il funzionamento e il
comportamento di un ambiente urbano,
cercando di illustrare cosa possa significare
rigenerare la città attraverso il “progetto di
suolo”. Questo concetto fu introdotto già nel
1989 (cfr. B. Secchi, Un progetto per
l’Urbanistica, Einaudi, 1989) per sottolineare il
ruolo fondamentale dello spazio vuoto nel
progetto di trasformazione della città
contemporanea. Sono due le ragioni che hanno
indotto a proporre questo cambio di prospettiva
nel modo di affrontare il progetto urbano.
La prima è legata alla tendenza che, dagli anni
Ottanta in poi, ha visto in Europa l’intervento
sulla città sempre più rivolto all’esistente
anziché alla costruzione del nuovo. La seconda
nasce dalla constatazione del grande divario tra
l’articolazione e varietà che connotano la città
storica e la tabula rasa delle periferie della città
moderna. Da qui la necessità di orientare la
trasformazione urbana a partire dalla
conformazione dei vuoti, dalla costituzione del
suolo urbano, definito non solo dalla geometria
dei suoi tracciati ma soprattutto
dall’organizzazione dei differenti spazi pubblici,
collettivi e privati: luoghi di incontro, piazze,
giardini, parchi; dall’articolazione della rete
stradale e dai modi secondo cui le strade si
relazionano all’edificato generando differenti
caratteristiche dello spazio pubblico.
Topotek 1 + BIG Architects + Superflex, Superkilen, Copenhagen, 2012. Superkilen è uno spazio urbano lungo mezzo miglio che si incunea in uno dei quartieri più multietnici e socialmente complessi della Danimarca. È concepito come una gigantesca mostra di buone pratiche urbane e una raccolta di oggetti provenienti da 60 diverse nazionalità, come le persone che abitano l’area circostante
Nel suo saluto ai partecipanti, Paolo
Valvassore, presidente di ANCE Alessandria,
dopo aver ricordato «le difficoltà che il mondo
delle costruzioni deve affrontare
quotidianamente, come le regole del
“superbonus” cambiate in corsa, il Pnrr da
applicare e il codice degli appalti non ancora
approvato», ha sottolineato l’importanza dei
temi affrontati dal convegno, indispensabili per
«comprendere l’esistente e la necessità di
cambiamento dovuta al continuo mutare della
società e delle esigenze delle comunità che la
compongono». La presidente regionale Paola
Malabaila, ha ricordato invece i 50 anni di
attività dell’associazione, accennando alle
problematiche che la impegnano in questi tempi
come il rincaro dei prezzi dei materiali, che ha
già costretto l’11% delle imprese a non
partecipare alle gare di appalto, o il
finanziamento di opere appaltate ma prive di
progettazione esecutiva. In questo scenario
complicato una nota positiva, menzionata dalla
presidente, è rappresentata dall’accordo con il
Politecnico di Torino per accogliere tirocinanti
nelle imprese edili.
Roberto Livraghi – che ha messo in evidenza
l’attenzione del Collegio Costruttori di
Alessandria non solo alle problematiche della
categoria ma alle tematiche determinanti per il
presente e per il futuro delle nostre città – ha
presentato e coordinato gli ospiti intervenuti:
Carlo Berizzi, professore associato in
Progettazione architettonica e Urbana presso il
DICAr, Università di Pavia; Gaia Terlicher,
dottoranda in Ingegneria Civile e Architettura
presso la stessa università; la professoressa
Domizia Mandolesi, responsabile scientifico di
Housing-Lab, DiAP, Sapienza Università di
Roma.
I tre contributi hanno analizzato la tematica
secondo distinti punti di vista: Carlo Berizzi,
partendo dalle azioni collettive che si svolgono
nelle piazze, nelle strade, nei parchi pubblici, ha
evidenziato come l’«agire sui vuoti per innescare
qualità urbana possa supportare e valorizzare le
operazioni immobiliari, creando nuove forme di
ecologia e rispondendo alle questioni, non più
derogabili, connesse con la sostenibilità».
L’intervento ha rappresentato, attraverso casi
studio di piccola e media scala, come il progetto
degli spazi aperti nella città contemporanea sia
motore di miglioramento in termini di mobilità,
inclusione sociale, economia ed ecologia.
Gaia Terlicher ha avanzato l’ipotesi di trasformare e ridisegnare lo spazio pubblico con
l’uso dell’acqua, in risposta agli effetti del
cambiamento climatico: se da un lato l’acqua
rappresenta una minaccia in determinati
contesti, dall’altro «può costituire una risorsa
fondamentale per contrastare gli effetti del
cambiamento climatico nelle realtà urbane».
Domizia Mandolesi ha osservato come nel
quadro di una realtà fortemente condizionata
dell’emergenza climatica, dal degrado
ambientale, dal rischio idrogeologico, «il suolo si
ponga quale sfida per il progetto urbano e non
possa essere considerato esclusivamente come
valore immobiliare della contrattazione
pubblico-privato, ma come uno degli obiettivi
strategici di molte politiche urbane».
Attraverso l’esempio di programmi già attuati a
Parigi e a Lisbona negli ultimi vent’anni,
l’intervento ha illustrato come i vuoti, gli spazi
tra gli edifici, costituiscano un valore aggiunto e
assumano la funzione strategica di elementi
strutturanti gli interventi di riconfigurazione
della città e del territorio. Il vuoto all’interno dei
tessuti delle nostre città, se trasformato in
infrastruttura di supporto, spazio funzionale e
legante tra gli edifici, aumenta il valore di questi
ultimi, influisce sulla sostenibilità energetica –
potendo accogliere sistemi capaci di
riequilibrare l’impatto dovuto alle costruzioni – e
può dar luogo a un sistema di spazi identitari di
scambio e di incontro capaci di suscitare senso
di appartenenza e una connessa inclinazione
alla cura da parte dei cittadini che li
frequentano. Trasformare la città a partire dai
vuoti è operazione proficua anche e soprattutto
in relazione agli spazi dell’abitare. Nelle aree a
destinazione prevalentemente residenziale il
progetto di suolo rappresenta una strategia
chiave per realizzare quartieri inclusivi e
sostenibili: il tema degli spazi aperti tra le case –
dalla strada al percorso pedonale, dallo spazio
all’aperto privato al giardino condominiale, dai
luoghi di incontro alla piazza pubblica –, della
configurazione che essi possono assumere in
rapporto agli usi e ai caratteri formali
dell’edificato, è il leitmotiv di alcune delle
ricerche progettuali più interessanti e riuscite.
Al convegno hanno partecipato costruttori,
professionisti del settore, il consigliere
regionale Domenico Ravetti, il presidente della
Provincia Federico Bussalino e hanno portato il
saluto il sindaco di Tortona Federico Chiodi e il
senatore Roberto Rosso.
GHB Landscape Architects, Taasinge square, Copenhagen, 2014
De Urbanisten, Benthemplein water square, Rotterdam, 2013. La rigenerazione dello spazio pubblico attraverso l’uso e la gestione dell’acqua può rappresentare una strategia per contrastare gli effetti del cambiamento climatico
JAJA Architects, Park ‘n’ Play, Copenhagen, 2016. Un’anonima e preesistente struttura in cemento armato destinata a parcheggio multipiano cambia carattere attraverso una facciata verde e due scale pubbliche che conducono in copertura; il tetto diventa così un fantastico parco giochi e uno spazio pubblico in quota
Questo articolo è stato pubblicato in l’industria delle costruzioni 488 -Musei tra comunicazione e riuso dell’esistente– ottobre/novembre 2022
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