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NONOSTANTE UNA TENDENZA GENERALIZZATA…
Notwithstanding a common tendence…
Negli ultimi anni si è andata costituendo in Italia un’attitudine alla progettazione dotata
di una sempre maggiore unitarietà, che non fa riferimento a ricerche o programmi prestabiliti e che non demanda
all’invenzione iconografica la propria identità ed il proprio successo. Il risultato è un’ architettura di relazione
non più intesa però, come vuole la tradizione italiana, come confronto con il contesto, ma come dialogo del singolo
progetto con le architetture di caratteristiche simili.
Questa ottica collettiva, testimoniata in parte dai progetti qui proposti, evidenzia innanzitutto la distanza
dell’architettura italiana contemporanea nei confronti del pensiero architettonico dominante: manca la tendenza
all’espressionismo, non è presente il vitalismo dei flussi e delle forme fluide e nemmeno quella tendenza alla
tettonica che cerca di mimetizzare l’edificio nel terreno. Non è una architettura ludica dalle forme kitsch, e
nemmeno un’architettura situazionista, che tende a confondersi con un allestimento e rifugge dal ricorso a figure
non architettoniche, organiche, biologiche.
Nei confronti poi dell’architettura proposta negli ultimi quindici anni sono presenti due novità. La prima è la
scomparsa della tendenza post-moderna ad elevare la dignità figurativa attraverso la citazione colta. A ciò si
aggiunge anche il declinare di un’altra tendenza, altrettanto deviante: quella che vedeva nella esaltazione del
territorio non pianificato lo stimolo per rivitalizzare l’architettura della città, spostando l’interesse dal
campo architettonico a quello sociologico.
Questa linea culturale dimostra allo stato attuale la propria inadeguatezza. I più attenti progettisti lavorano
su principi più al passo con i tempi, e sono inclini ad un atteggiamento empirico, concentrandosi nella ricerca
di un compromesso bilanciato tra la regola e la sua applicazione. Si ottiene così un’architettura in cui prevalgono
la chiarezza formale e il senso dell’ordine, anche se a questo si aggiunge il modus operandi dell’intuizione,
termine tabù del modernismo globalizzato, poiché si oppone al concetto di dipendenza del progetto da un unico
schema funzionale o figurativo.
Chi lavora per intuizione parte invece dal presupposto che un progetto non possa essere ridotto ad un unico
principio dominante, bensì a un insieme di concetti: progettare si traduce allora nello sforzo di bilanciare
questi concetti tra loro e nella ricerca di un’argomentazione unificante.
Lo scenario ormai condiviso è quello di una mentalità che finalmente sa consapevolmente scindere le ragioni
dell’estetica da quelle dell’etica e così facendo appare ormai libera da quell’intellettualismo autocelebrativo
che sembra definitivamente archiviato.
Questa architettura, sebbene nasca da una sensibilità comune, non dimostra infine interesse nei confronti della
invenzione formale propria, della creazione di un nuovo stile. E qui sta il punto di forza della architettura
italiana: la convinzione che il linguaggio non è il fine, ma un mezzo e un’ attitudine operativa, e che per
questo deve essere “generico”, e saper cogliere del modernismo occidentale il suo aspetto impersonale
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